La Svezia è uno Stato fallito?
di Judith Bergman 9 agosto 2017
Pezzo in lingua originale inglese: Sweden: A Failed State?
Traduzioni di Angelita La Spada
Lo Stato svedese, in vero stile orwelliano, combatte i propri cittadini che fanno notare tutti i problemi evidenti causati dai migranti.
Nel febbraio scorso, l’agente di polizia Peter Springare è stato indagato per incitamento all'”odio razziale” per aver detto che i migranti stanno compiendo un numero sproporzionato di reati nei quartieri.
Un pensionato svedese di 70 anni è finito sotto processo per “incitamento all’odio” perché aveva scritto su Facebook che i migranti “danno fuoco alle auto, urinano e defecano per strada”.
La situazione della sicurezza in Svezia è oramai così critica che il capo della polizia nazionale, Dan Eliasson, ha chiesto aiuto ai cittadini, perché la polizia non è in grado di risolvere i problemi da sola. A giugno, la polizia svedese ha diffuso un nuovo rapporto, “Utsatta områden 2017” (“Aree vulnerabili 2017”, comunemente denominate “no-go zones” o porzioni di territorio che sfuggono al controllo dello Stato stesso). Nel report si legge che il numero di queste “no-go zones” è aumentato rispetto a un anno fa, passando da 55 a 61.
Nel settembre 2016, il premier Stefan Löfven e il ministro dell’Interno Anders Ygeman si sono rifiutati di riconoscere i segnali di allarme. Nel 2015, è stato risolto solo il 14 per cento di tutti i reati compiuti in Svezia e nel 2016, l’80 per cento degli agenti di polizia avrebbe preso in considerazione l’ipotesi di lasciare il proprio impiego. Entrambi i ministri non hanno voluto parlare di crisi. Secondo Anders Ygeman:
“… ci troviamo in una situazione molto complessa, ma la crisi è una cosa completamente diversa (…) ci troviamo in una situazione molto difficile avendo attuato il più grande riassetto dagli anni Sessanta, mentre sussistono questi fattori esterni molto problematici, con il più elevato afflusso di rifugiati dalla Seconda guerra mondiale. Abbiamo introdotto i controlli alla frontiera per la prima volta in 20 anni e si registra un’accresciuta minaccia terroristica”.
Oggi, a distanza di un anno, il capo della polizia nazionale parla di situazione “grave”.
La Svezia assomiglia sempre più a uno Stato fallito: nelle 61 “no-go zones”, si contano duecento reti criminali composte da circa 5.000 membri. Ventitré di queste “no-go zones” sono particolarmente critiche, con bambini di 10 anni coinvolti in gravi reati – legati anche alle armi e allo spaccio di stupefacenti – e letteralmente addestrati a diventare dei criminali incalliti.
Il problema però si estende ben oltre il crimine organizzato. A giugno, alcuni poliziotti in servizio a Trollhättan, durante i disordini scoppiati nel quartiere di Kronogården, sono stati aggrediti da circa un centinaio di giovani migranti col volto coperto, principalmente somali. I tumulti si sono protratti per due notti.
I violenti disordini fanno parte dei problemi di sicurezza della Svezia. Nel 2010, secondo il governo, nel paese c’erano “soltanto” 200 islamisti radical. A giugno, il capo dell’intelligence svedese (Säpo), Anders Thornberg, ha dichiarato ai media svedesi che il paese sta affrontando una sfida “storica” avendo a che fare con migliaia di “islamisti radicali in Svezia”. Secondo la Säpo, i jihadisti e i loro sostenitori sono principalmente concentrati a Stoccolma, Gothenburg, Malmö e Örebro. “Questa è la ‘nuova normalità’. (…) Il fatto che gli ambienti estremisti siano in aumento è una sfida storica”, ha affermato Thornberg.
L’establishment svedese deve biasimare solo se stesso per tale situazione.
Thornberg ha detto che la Säpo riceve circa 6mila soffiate al mese riguardo al terrorismo e all’estremismo, a fronte di una media di 2mila al mese nel 2012.
Secondo l’esperto di terrorismo Magnus Ranstorp dell’Università della difesa svedese, alcuni motivi di questo incremento sono legati all’isolamento esistente nelle “no-go zones” del paese:
“…è stato facile per gli estremisti reclutare indisturbati in queste zone. (…) le misure di prevenzione sono state piuttosto banali (…) se si paragonano Danimarca e Svezia, la prima è a livello universitario e la seconda è come un bambino dell’asilo”.
Quando l’agenzia di stampa svedese TT ha chiesto al ministro dell’Interno Anders Ygeman cosa comportasse un aumento dei sostenitori delle ideologie estremiste nella lotta al radicalismo da parte del governo svedese, Ygeman ha risposto dicendo:
“Credo che ciò incida poco. Questo è uno sviluppo che riguarda un certo numero di paesi in Europa. Dall’altro lato, ciò dimostra che sia giusto adottare le misure che abbiamo preso. Un centro permanente contro l’estremismo violento: per questo motivo abbiamo aumentato il bilancio per operare contro l’estremismo violento; è per questo che abbiamo aumentato il bilancio per la politica sulla sicurezza per tre anni”.
E potrebbero esserci ancor più jihadisti di quanto pensi la Säpo. Nel 2015, nel bel mezzo della cristi migratoria, quando la Svezia ha accolto 160mila migranti, 14mila di quelli destinati all’espulsione sono scomparsi nel paese senza lasciare traccia. Fino all’aprile scorso, le autorità svedesi ne stavano ancora cercando 10mila. Stoccolma però ha soltanto 200 poliziotti di frontiera per farlo. Uno di questi migranti scomparsi era Rakhmat Akilov, un uzbeko. L’uomo, alla guida di un camion, si è schiantato contro la vetrina di un centro commerciale, uccidendo quattro persone e ferendone molte altre. L’attentatore ha poi detto di aver agito per conto dello Stato islamico (Isis).
Nel frattempo, la Svezia continua ad accogliere i combattenti dell’Isis di ritorno dalla Siria, una compiacenza che ben difficilmente migliora la situazione della sicurezza. Nel paese, sono finora arrivati 150 jihadisti. Ne rimangono all’estero ancora 112 – i più irriducibili di tutti – e si prevede il ritorno di molti di questi. Sorprendentemente, il governo svedese ha fornito a diversi ex miliziani dell’Isis delle identità protette per evitare di essere scoperti dai cittadini svedesi. Due di questi ex jihadisti di nazionalità svedese, Osama Krayem e Mohamed Belkaid, erano coinvolti negli attentati terroristici del 22 marzo 2016 all’aeroporto di Bruxelles e alla stazione della metropolitana di Molenbeek, nel centro della capitale belga, in cui 31 persone hanno perso la vita e 300 sono rimaste ferite.
I media svedesi hanno riportato la notizia che le città che accolgono i rimpatriati non sanno neppure che si tratta di ex combattenti dell’Isis. Secondo Christina Kiernan, una coordinatrice della lotta contro l’estremismo islamista violento, “…al momento non c’è alcun controllo su coloro che ritornano dalla zone controllate dall’Isis in Medio Oriente”.
La Kiernan spiega che ci sono regole ben precise da parte della Säpo che impediscono di passare informazioni sul rientro dei jihadisti alle amministrazioni locali, in modo che le autorità comunali, compresa la polizia, non siano a conoscenza dell’identità e del numero degli ex combattenti dell’Isis presenti nelle loro zone. È quindi impossibile monitorarli – e questo proprio nel momento in cui la Säpo stima che nel paese ci siano migliaia gli estremisti islamisti violenti.
Nonostante tutto questo, lo Stato svedese, in vero stile orwelliano, combatte i propri cittadini che fanno notare tutti i problemi evidenti causati dai migranti. Nel febbraio scorso, l’agente di polizia Peter Springare è stato indagato per incitamento all'”odio razziale” per aver detto che i migranti stanno compiendo un numero sproporzionato di reati nei quartieri.
Un pensionato svedese di 70 anni è finito sotto processo per “incitamento all’odio” perché aveva scritto su Facebook che i migranti “danno fuoco alle auto, urinano e defecano per strada”.
Con migliaia di jihadisti in tutta la Svezia, cosa potrebbe essere più importante di perseguire un pensionato svedese per i commenti postati su Facebook?
Judith Bergman è avvocato, editorialista e analista politica.