L’ACQUAIUOLO
Riflessioni semi-serie da calura
Acquajuo’, l’acqua è fresk’? Comm’ ‘a nev’ signo’! Di questo scambio, solitamente usato per ironizzare sulle scontate lodi della merce fatte dal venditore, a Brescia, un arguto cameriere del salernitano, a cui mi rivolsi per la bontà delle pizze, mi fece conoscere la variante, nella risposta: “Manc’ ‘a nev’!”.
A Napoli, l’acquaiolo-detto pure acquafrescaio- era un mestiere abbastanza redditizio e vario; ricordo, che negli ani 70-80 del secolo scorso veniva esercitato nei chioschi adorni di limoni, foglie e arance che erano anche luogo di sosta e d’incontro. L’acqua era normale, frizzante o sulfurea-suffregna-, semplice o con aggiunta di limone, bicarbonato e sciroppi; alcuni la tenevano nelle mummare di creta, col ghiaccio. L’acquaiolo vendeva anche birra, caffè e bibite gassate; mi pare di ricordare un chiosco anche sul lato sud-est della Reggia di Caserta. Nei periodi precedenti, l’acquaiolo si serviva di un carretto tirato a amano ed è nominato in alcune canzoni. Nell’accorata F’nestra vascia, si cita l’acquaiolo “cu’ ‘na langella” probabilmente sopra la spalla o sotto il braccio. In Acqaiola ‘e Margellina, lo spasimante confessa: “Pe’ ‘sti mmummere gelate/Pur”a capa aggio perduto… con palese doppio senso. Tutti vogliono e vanno a bere da Carmenella, “’sta bella acquaiola” di ‘Ndringhete, ‘ndrà , “ma nisciuno s’ ‘a piglia. Pecché?”
Se non ricordo male, a Pignataro (e Pastorano) l’acquedotto con le fontane pubbliche entrò in funzione verso il 1959, con le strade squassate per mesi, con i tubi neri catramati (da 12?) (che adesso si usano in agricoltura per impianti provvisori) nelle giunture dei quali si versava metallo dolce fuso. A Pignataro, in particolare, per la conformazione del suolo non era facile trovare l’acqua e si raccoglieva quella piovana in cisterne, da usare con oculatezza, per lavare panni biancheria e stoviglie. C’erano alcuni pozzi di privati ove la gente si recava coi secchi a far provvista d’acqua potabile… alcuni non erano a distanza di sicurezza dai pozzi neri. L’acqua di alcuni pozzi veniva definita molle, forse per la diversa concentrazione di sali contenuti. Nei primi giorni d’esercizio della fontana di piazza Umberto I, di fronte all’allora Bar Massa, per regolarne l’utilizzo di chi vi si recava con una caterva di bottiglie e secchi e scoraggiare gli eccessi dei ragazzini fu messo il vigile Antonio Formicola. Tra gli anni 50 e 6o ci fu un chiosco nella piccola rientranza a sinistra della chiesa madre, aperto solo nei mesi estivi che vendeva anche granite ed “orzate”. Negli stessi anni ricordo anche il carretto, vicino alla precitata fontana, di Andrea Capezzuto -padre di Ferdinando, il tenore- che d’estate, protetto da un ombrellone vendeva “a rattata” dalla bacchetta di ghiaccio, che versava in un bicchiere, insaporendola con sciroppi alla menta, fragola, orzata e limone. Lo stesso, a Partignano, in un basso, dopo la piazza, apriva, nelle feste, il Bar Adua. Fino a qualche anno fa era visibile la scritta a smalto, su insegna di legno: Reminiscenza del periodo del “ritorno dell’Impero sui Colli Fatali di Roma”. Alla carenza d’acqua a Pignataro si sopperiva “cu’ ‘a votta ‘e Vicienz’ “: Un carretto tirato da un’asina (hippobotte?), con un barile di legno da 300(?) litri che in giorni fissi della settimana, nei diversi rioni era atteso dalle donne, nei punti stabiliti, dalla consuetudine e dalla densità abitativa. Mia nonna paterna faceva provvista d’acqua all’incrocio di Via Principe di Napoli-uinnoli- e Via IV Novembre, davanti all’edicola della Madonna dove si sistemavano bottiglie, secchi, damigiane, damigianelle, pentole, conche, conchetelle, “scafarene” , “langelle”, ceceri e” cecereniegli “ che Vicienz, aperto il volantino d’ottone, riempiva con un tubo bianco, attento a non sprecare nessuna goccia del prezioso bene, pagato secondo le tariffe del tempo (dieci lire a bottiglia?). Alla botte era collegato anche un tubo di ferro, come parafango posteriore del carretto, con innumerevoli fori che d’estate, innaffiava e rinfrescava le strade del paese, molte ancora “bianche”. “A votta ‘e Vicienz’ “ , negli anni 60, a seguito del boom economico e delle rimesse degli emigranti ebbe anche un ruolo nello sviluppo edilizio di Pignataro: Per tutte le case del rione “Cupella” o ” profughi”, la calce idratata, la malta, il calcestruzzo, l’intonaco furono preparati col contenuto ” dell’hippobotte ‘e Vicienz”. E bisognava prenotarsi…
Stando alle statistiche, nei tempi precitati, le temperature estive non raggiungevano i picchi attuali di Caronte , Lucifero(…ma Dante non lo ficca nel ghiaccio?) e degli altri personaggi coi quali i meteorologi appellano gli anticicloni, però , lo stesso i nostri padri riuscivano a vivere e lavorare in condizioni ancora lontane dalle “magnifiche sorti e progressive “ nelle quali ci ritroviamo. “Magnifiche sorti e progressive “ che hanno dotato gl’italiani di bottigliette che estraggono da borse, tasche e marsupi con le quali, non so se per compulsione fisiologica o coartazione sociale (absit iniuria verbis: nessun giudizio clinico per il quale non ho titoli) con le quali si dissetano da “abbisciulati”. Stamattina, nel fresco della metropolitana, ho visto due donne nordafricane, col viso incorniciato da un fazzoletto , estrarre due bottigliette e bere con palese voluttà. Perciò mi sono chiesto : Vuoi vedere che la razza umana sta perdendo le capacità di adattamento alle difficoltà contingenti ? I nostri avi andavano a scavare “u cannul’” e i “fasul’ “ ‘abbascia ‘o remmanjo e ‘’nta i parcul’”(canapa e fagioli, giù nel demanio e nei campi vasti-parchi ), o a coltivare le “cese” (appezzamenti tagliati nella montagna) e si idratavano con l’acqua delle pozze che andavano ad attingere a turno, previo permesso del caporale e, pur non avendo a disposizione l’acquaiuolo e ”le magnifiche e progressive” bottigliette di plastica, non ricordo che enfatizzassero tanto l’avvicinamento del “p’titto” o “p’tettieglio” alle arse labbra…
Il presidente di Storia Memoria Identità
Giorgio Natale – Brescia