Le mutilazioni genitali femminili: il multiculturalismo è impazzito
di Khadija Khan – 21 luglio 2017
Pezzo in lingua originale inglese: Female Genital Mutilation: Multiculturalism Gone Wild
Traduzioni di Angelita La Spada
L’arringa a favore della “libertà religiosa” mette in luce involontariamente le false affermazioni di musulmani di spicco – come il presentatore tv ed esperto di religione Reza Aslan, americano di origine iraniana, e l’attivista Linda Sarsour, nata a Brooklyn ma di origine palestinese – secondo i quali le mutilazioni genitali femminili (MGF) “non sono una pratica islamica”.
In base alle statistiche del National Health Service, il servizio sanitario nazionale, soltanto nel Regno Unito, almeno una ragazza è sottoposta ogni ora a questa orrenda procedura– e questo accade dopo quasi trenta anni dalla messa al bando delle MGF in quel paese.
Le MGF non sono un crimine meno efferato dello stupro o della riduzione in schiavitù, ma in Occidente le sedicenti femministe – incluse le attiviste musulmane come Linda Sarsour e non musulmane impegnate in una crociata contro l’islamofobia – tacciono in fatto di pratiche barbariche o negano la loro connessione con l’Islam. E la Sarsour sostiene anche la schiavitù, un’altra pratica legittimata dall’Islam?
I legali di due medici del Michigan originari dell’India e di una delle loro mogli, che sono stati incriminati il 22 aprile scorso da un gran giurì con l’accusa di aver praticato mutilazioni genitali su due bambine di 7 anni, intendono invocare la libertà religiosa per conto dei loro clienti musulmani.
Gli imputati sono membri della Dawoodi Bohra, una setta islamica che ha sede nel loro paese di origine. Nella causa federale, la prima di questo tipo da quando le mutilazioni genitali femminili (MGF) sono state vietate per legge dal 1996, il team difensivo sostiene che la pratica è un rituale religioso e pertanto dovrebbe essere protetta dalla legge americana.
L’arringa a favore della “libertà religiosa” mette in luce involontariamente le false affermazioni di musulmani di spicco – come il presentatore tv ed esperto di religione Reza Aslan, americano di origine iraniana, e l’attivista Linda Sarsour, nata a Brooklyn ma di origine palestinese – secondo i quali le mutilazioni genitali femminili (MGF) “non sono una pratica islamica”.
La pratica delle mutilazioni genitali femminili, nota anche come circoncisione femminile, consiste nel taglio o nella rimozione della clitoride e/o delle piccole labbra, in modo da eliminare il desiderio e il piacere sessuale di una ragazza, garantendo che rimanga vergine prima del matrimonio e fedele al marito dopo le nozze. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità:
Le mutilazioni genitali femminili non presentano alcun vantaggio per la salute e ledono le bambine e le donne in molti modi. Le MGF comportano la rimozione e il danneggiamento dei normali tessuti genitali e interferiscono con il funzionamento naturale dell’organismo femminile. In linea di massima, i rischi aumentano in proporzione alla gravità delle mutilazioni.
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Le mutilazioni sono per lo più praticate su ragazze giovani tra l’infanzia e l’adolescenza, e occasionalmente su donne adulte. Ogni anno, più di 3 milioni di bambine sono minacciate da queste pratiche.
Più di 200 milioni di bambine e donne oggi sono vittime di mutilazioni sessuali praticate in 20 paesi africani e del Medio Oriente, dove sono concentrare le MGF.
L’afflusso di migranti e di rifugiati provenienti da questi parti del mondo verso i paesi occidentali ha portato a un drastico e pericoloso aumento delle mutilazioni genitali femminili in Europa, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Secondo le statistiche del National Health Service, soltanto nel Regno Unito, almeno una ragazza è sottoposta ogni ora a questa orrenda procedura – e ciò accade dopo quasi trenta anni dalla messa al bando delle MGF in quel paese.
Inoltre, un rapporto della Commissione europea ha rivelato che sono circa 500 mila le donne che in Europa sono state sottoposte alle pratiche delle MGF, mentre molte altre rischiano di esserne vittime. In Germania, ad esempio, nel 2013 è stata aperta una clinica, il Desert Flower Center (centro “fiore del deserto”), per fornire assistenza psico-fisica alle vittime di queste pratiche: secondo le stime, 50 mila donne sono state sottoposte a MGF e circa 20 mila a Berlino. L’impegno contro l’infibulazione ha come testimonial la ex top model e attrice somala Waris Dirie, un’importante attivista anti-MGF.
Il 15 maggio, sulla scia del caso dei medici del Michigan finiti sotto processo per aver praticato mutilazioni genitali femminili, la Camera dei Rappresentanti del Minnesota e il Senato del Michigan hanno approvato una nuova legislazione che estenderebbe in questi due Stati le esistenti leggi federali anti-MGF ai genitori delle bambine sottoposte a questa pratica. Infatti, sono le madri e i padri che costringono le loro figlie a subirla – o come nel caso della scrittrice somala Ayaan Hirsi Ali, sua nonna.
In un’intervista del 2013 al magazine inglese Evening Standard, Hirsi Ali – un’ex musulmana che ha abiurato la sua fede religiosa ed è diventata una critica agguerrita dell’Islam e della legge della Sharia, in particolare per quanto riguarda le donne – ha spiegato perché è difficile perseguire i familiari delle vittime delle MGF:
“È stato fatto a me all’età di 5 anni, e dieci anni dopo, e anche venti anni dopo, non avrei testimoniato contro i miei genitori”, ha detto. “È una questione psicologica. Le persone che lo fanno sono i padri, le madri, le nonne e le zie. Nessuna bambina li manderà in prigione. Come si può vivere con quella colpa?”
Ma il problema maggiore – che deve essere affrontato insieme alla legislazione – riguarda il fatto che il multiculturalismo è impazzito. Prendiamo, ad esempio, la decisione presa ad aprile dalla giornalista del New York Times Celia Dugger di smettere di usare il termine “mutilazioni genitali femminili” perché è “culturalmente tendenzioso”.
“C’è un divario tra i paladini occidentali (e alcuni africani) che si battono contro la pratica delle MGF e le persone che seguono il rituale, e penso che il linguaggio usato abbia allargato questo divario”, ha scritto la Dugger.
Le mutilazioni genitali femminili non sono un crimine meno efferato dello stupro o della riduzione in schiavitù, ma in Occidente le sedicenti femministe – incluse le attiviste musulmane come Linda Sarsour e non musulmane impegnate in una crociata contro l’islamofobia – tacciono in fatto di pratiche barbariche o negano la loro connessione con l’Islam. E la Sarsour sostiene anche la schiavitù, un’altra pratica legittimata dall’Islam e ancora oggi esistente in Arabia Saudita, in Libia, in Mauritania e in Sudan, ma praticata anche dallo Stato islamico e da Boko Haram?
Ecco perché la legislazione anti-MGF, per quanto cruciale, è insufficiente. È giunto il momento non solo di vigilare contro i praticanti e i genitori, ma di denunciare e screditare chiunque cerchi di proteggere questa brutalità.
Khadija Khan è una giornalista e cronista pakistana che attualmente vive in Germania.