TI RACCONTO UNA MOSTRA …
“La Liberazione dell’Italia nelle immagini dei US Signal Corps e dell’Istituto Luce, 1943-46”
In mostra due sguardi “istituzionali” paralleli sull’Italia liberata: quello del fotografo del Luce, cui si deve la documentazione fotografica ufficiale italiana, e quello dell’operatore dei Signal Corps, l’efficiente servizio comunicazioni dell’esercito americano. Antesignani della romantica figura del reporter curioso e indipendente, questi inviati speciali raffiguravano se stessi accanto a mitragliatrici, bombe e carri armati, imbracciando “un’arma” non meno potente (foto 1).
Se le immagini in “bianco e nero”, più sobrie, sia italiane che americane, documentano la cronaca degli eventi, quelle “a colori”, più rare e impegnative, provenienti dalla National Archives and Records Administration (NARA) di Washington, esaltano il folklore del “Bel Paese”. Emblematica per l’attenzione al dato sociale, non senza pregiudizi, è la fotografia che immortala un’ausiliaria del WAC (Women’s Army Corps), il corpo militare femminile delle forze armate americane, che conversa con contadine nel costume tradizionale in un villaggio del Matese (foto 2). Un’altra immagine di forte impatto visivo è quella che ritrae granate di fumo colorato, usate in base a codice prestabiliti per segnalare all’aviazione la posizione e le necessità delle truppe sul terreno (foto 3).
Le istantanee, pur condizionate dalle esigenze della propaganda, lasciano trasparire la spaventosa realtà della guerra, la vulnerabilità dell’esercito, l’angoscia dei soldati, il lato umano dei combattenti. Le vittime civili, i lutti, la sofferenza sono temi generalmente banditi dalle foto; di contro, si enfatizza il coraggio personale e l’efficace organizzazione sanitaria degli alleati. Per questo motivo, molti scatti non hanno superato il vaglio della censura e sono esposti per la prima volta (segnalati con un marchio al visitatore): un soldato in preghiera in una cappella (foto 4); soccorritori dopo un bombardamento (foto 5); il funerale di un bersagliere (foto 6); la trincea scavata da un soldato, simile a un loculo funerario ma tappezzata con foto di attrici ritagliate dai giornali (foto 7); soldati mimetizzati da pecora (foto 8); un soldato italiano in uniforme coloniale sul fronte africano con baffi alla Amedeo Nazzari, divo del cinema fascista, testimonianza dei modelli imposti dalla più popolare forma d’intrattenimento (foto 9). Ai volti che hanno conosciuto la guerra, che rivelano sconcerto e dolore, fanno da contraltare i volti “pubblicitari” in posa, rassicuranti e perfetti, per tranquillizzare il fronte interno (foto 10).
Nella sezione “Hollywood in guerra” dedicata all’impegno dei registi di Hollywood contro l’isolazionismo antinazista, sono proiettati estratti dal montaggio originale della serie diretta da Frank Capra “Why We Fight” (1943) dagli espliciti toni propagandistici (foto 11). Di diverso tenore il documentario di John Huston “The Battle of San Pietro” sulle azioni belliche nell’impervia zona a sud di Cassino (San Pietro Infine), bocciato dalla censura per lo stile realistico e i toni “pacifisti”.
L’epilogo della guerra è raccontano, da un lato, dall’incontenibile esultanza dei civili oltre che dei militari, dall’altro, da cumuli di macerie. Il “Treno dell’Amicizia” Italia-America (1947), che attraversava tutta la penisola per distribuire generi alimentari offerti dal popolo americano a quello italiano in segno d’affetto, rappresentò un sostegno prezioso alla ricostruzione e, al contempo, alla filoamericana Democrazia Cristiana contro il filosovietico Partito Comunista nelle elezioni politiche del 18 aprile 1848 (foto 12).
Mostra fotografica “War is Over!” aperta dal 26 settembre 2015 al 10 gennaio 2016 presso Palazzo Braschi, Museo di Roma, Sale espositive 1° Piano, Piazza Navona 2, Roma.
Mariavittoria Albini