Il libro del mese, “Lamento di Portnoy”

lamento-di-portnoy-del-1969Il Club del libro si cimenta nella letteratura americana con un romanzo di Roth

A ottobre il Club del Libro di Pontelandolfo ha promosso per la prima volta la lettura di un autore statunitense, l’82enne Philiph Roth, mostro sacro della letteratura contemporanea, tra i “grandi” mai omaggiati del prestigioso riconoscimento dell’Accademia svedese (anche quest’anno ha mancato il Nobel per la Letteratura, assegnato alla giornalista e scrittrice bielorussa Svetlana Aleksievich). Il libro del mese, “Lamento di Portnoy” (1967), non è forse il miglior Roth ma ha il pregio di indagare l’animo umano come solo i grandi autori sanno fare. Più che un romanzo è un intenso monologo del protagonista, Alex Portnoy, durante una seduta di terapia psicoanalitica, nello stile tipico della comicità ebreo-americana, accostabile ai film di Woody Allen. La “patologia” di Portnoy consiste in un disturbo in cui potenti impulsi etici e altruistici, frutto della cultura e della tradizione ebraica, sono in perenne contrasto con una violenta tensione sessuale, spesso di natura perversa. Nel preambolo il fantomatico psicoanalista che ha in cura Alex, il dottore Spielvogel, osserva: «Atti di esibizionismo, voyeurismo, feticismo, autoerotismo e coito orale sono assai frequenti; come conseguenza della moralità del paziente, tuttavia, né le fantasie né le azioni si traducono in autentica gratificazione sessuale, ma piuttosto in un soverchiante senso di colpa unito a timore di espiazione, soprattutto nella fantasmatica della castrazione». Senza soluzione di continuità le contraddizioni del protagonista: con un QI di 158, un lavoro rispettabile, ben remunerato e gratificante, lo scapolo Portnoy ha la vita sessuale di un erotomane che cerca di imporre la propria virilità, con un’irresistibile attrazione per le donne non ebree, quasi volesse introdursi nel loro ambiente sociale. Di conseguenza, è tormentato dai sensi di colpa, nella convinzione che la sua compulsiva attività erotica gli abbia fatto guadagnare un posto all’Inferno, nel girone dei lussuriosi. Dietro un oceano di sessualità spontanea e istintiva si cela la tragicomica disperazione di un uomo solo, tutt’altro che libero, sottoposto alle costrizioni delle convenzioni sociali e della religione che frenano la libertà dell’individuo. Gran parte dei sintomi vanno ricercati nei rapporti madre-figlio e, più in generale, nel modello educativo opprimente imposto durante la pubertà e l’adolescenza: da un lato, una madre iperprotettiva, sempre preoccupata di come e quanto il figlio mangi, che si sposi e abbia figli, il soggetto più virile nella coppia genitoriale, dall’altro un padre sempre assente, sfruttato nel lavoro, ignorante, afflitto da stitichezza. Tutto il libro è percorso da una visione manichea che pone lo stile di vita americano in contrapposizione alla cultura Yiddish. Nel romanzo, ambientato negli anni ’40 e ’50, dopo il secondo conflitto mondiale e la Shoah, emergono la tendenza ebraica all’autoflagellazione e al compiacimento e molti pregiudizi ebrei che, in una sorta di razzismo/antisemitismo al contrario, tradiscono il timore verso l’integrazione con i “non ebrei”. Particolarmente interessante risulta il capitolo conclusivo che narra la “fuga” del protagonista nello Stato d’Israele, dove viene naturale fare un confronto tra gli ebrei della diaspora e quelli della Terra Promessa, e, a livello sociopolitico, tra la società capitalistica americana e il sistema cooperativistico dei kibbutz. Il linguaggio diretto e senza censure può certamente disturbare, indignare (non a caso, all’epoca della sua pubblicazione il libro suscitò scalpore per i suoi contenuti osceni e il linguaggio spesso e volentieri scurrile e volgare). Invece tra i punti di forza, qui come in altri lavori rothiani, risaltano la vena ironica e la prosa dissacrante e cinica, che colpisce tutto: la famiglia, la religione, l’affetto filiale, l’etica e l’amore. Il testo scelto per il mese di novembre è un must: “Le notti bianche” del russo Fedor Dostoevskij. Il Club del Libro di Pontelandolfo invita tutti a unirsi alla lettura perché ogni persona, attraverso la propria particolare lente, apporta arricchimenti e variazioni sul tema.

Gabriele Palladino