Torino muore e noi anche!

Torino muore e noi anche!
È tutta questione di… noia.

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Possiamo partire da questa notizia (Il peso di lungaggini burocratiche e proteste: le opere pubbliche in stallo sono 342. Gian Maria De Francesco), per confermare che lo stesso andazzo denunciato dal collega è presente in una città italiana che amo particolarmente: Torino. E vi racconto brevemente il perché, mettendo in luce ciò che io considero essere ormai evidente in questa città.

Come è ovvio da parte mia, la questione dei tagli alla cultura, quasi 6 milioni di euro, è qualcosa di grave, visto che tutto quello che Torino aveva costruito, anche faticosamente, negli anni precedenti, ora viene annullato.
E ce ne possiamo accorgere anche facilmente, perché fino a qualche tempo fa, camminare per le strade della prima capitale d’Italia significava incontrare persone, e tante, che chiedevano dove si trovasse quella o quell’altra mostra, o dove si svolgesse questo o quell’altro evento. Oggi, la città è tornata ad essere semideserta, conservando tuttavia i ben noti problemi legati all’immigrazione, ovviamente destinata ai soliti e conosciuti ghetti.

Però, la lungimirante e colta amministrazione Appendino, dichiara di attendere soldi dal Governo, come è peraltro vero, prima di trovare una soluzione al problema dell’indotto che la cultura crea in tutta la nostra nazione. Ma questo concetto, e da anni, è davvero difficile da comprendere per i nostro politici, anche o forse soprattutto, quando si tratta di amministratori politici improvvisati come questi dei 5 stelle.

Rimpiangere Fassino e Chiamparino è, per me, cosa grave, eppure paragonando il loro operato a quello che sta accadendo oggi non è possibile fare altrimenti.

Abbiamo ormai compreso e metabolizzato che alla sindaca di Torino piacciono i tagli, e non perché intenda rifarsi alla parsimoniosa ed oculata amministrazione del ministro delle finanze Quintino Sella, ma perché invece di impegnarsi a reclutare fondi creando nuovi progetti o nuove manifestazioni, trova più facile tagliare su quelle istituzioni, come i Servizi alla cultura, che sono sempre le più deboli e quindi più impunemente sacrificabili. Torino è una città che ha saputo, nel tempo, riconvertirsi dall’industria alla cultura, riconversione dettata anche da un passato significativo che vede la città protagonista e vincente, non solo nelle arti minori ma anche nell’architettura, nella riqualificazione urbanistica e nel paesaggio. Sarebbe quindi inappropriato condurre a morte sociale certa – e vi sono tutti i sintomi perché tale situazione non sia solo un annuncio – una città capace di trionfare a livello italiano e internazionale, grazie al suo patrimonio di conoscenze e alle sue doti di rigore e di impegno.

Un patrimonio che non dovrebbe essere limitato e sprecato, ma sviluppato e utilizzato perché Torino e quindi l’Italia è anche, soprattutto cultura – per non dire solo cultura.

Tutto il resto, forse, è noia.

 

alessandro_bertirotti2Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura. Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà; vice-segretario generale della CCLPW , per la Campagna Internazione per la Nuova Carta Mondiale dell’educazione (UNEDUCH), ONG presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite e il Parlamento Europeo, e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).

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