Una cassa di documenti sulla “diplomatica seduttrice”
NUOVE RIVELAZIONI INTORNO ALLA VITA DELLA CASTIGLIONE
Poche settimane or sono da Milano ottantaquattro chilogrammi di prezioso carteggio inedito hanno preso la via di Parigi ove saranno venduti all’asta
MILANO, marzo. Nel tardo pomeriggio di una giornata brumosa, poche settimane or sono, mentre lo si scaricava nei pressi del Teatro Dal Verme, un baule grigiastro, vecchio probabilmente di un secolo, si sfasciava nel suo fondo infracidito e corroso. Ne scivolavano fuori scioltamente centinaia di fogli di carta ingiallita e spessi fascicoli, che si sparpagliavano al suolo e si appiccicavano all’asfalto viscido. Nessuno vi fece caso se non per commentare con una risata l’accaduto. Per quelle carte che si bruttarono nel fango i cultori di storia ed i ricercatori di autografi andrebbero pazzi. Tant’è, non v’è nulla da fare, per ora. Raccolti con rapidi gesti da coloro che li scortavano, quei documenti hanno preso la via di Parigi e sono oggi, ci si dice da persona bene informata, affidati all’esame di André Maurois.
Il primo biografo della contessa Virginia di Castiglione Oldoini, Frédéric Loliée, scriveva nell’anno millenovecentoundici al bibliotecario comunale della Spezia, Ubaldo Mazzini, appassionato cultore di studi storici, chiedendo chiarimenti anagrafici e notizie intorno a questa gentildonna che fu definita « La più bella del suo secolo ». Il Mazzini rispose sollecitamente, ragguagliando del suo meglio il Loliée, e scrivendo, fra l’altro: «Due anni or sono, mentre passeggiavo in collina qui alla Spezia, mi accadde di trovarmi nei pressi di una casa disabitata, già di proprietà della Contessa di Castiglione, e che apparteneva ormai agli eredi di lei; casa abbandonata, con persiane e intonachi in rovina e gramigna in giardino. Entrai, spinto dal nostro comune demone.
La prima scoperta
Ragnatele, polvere, senso di abbandono, silenzio sinistro, odore di chiuso e di muffa mi accolsero. Intorno a me non era che ciò che rimane di una casa morta dopo una lunga solitaria agonia. E ogni cosa pareva essere ormai per tutti morta in quella casa morta. Ma, in un canto del salotto scarnamente arredato, notai un baule grigiastro, mal difeso dalle serrature scardinate e rugginose. Dentro quel baule, accatastati a fascio, sotto un necessaire da viaggio ammuffito nel cuoio finissimo della copertura, erano, a migliaia, autografi e pacchi di lettere e di appunti che non potei esaminare a modo mio, dacché poco dopo che vi avevo posto mano il custode che mi aveva concesso la visita mi guardò con diffidenza. Imbruniva e me ne andai, pensando di poter ritornare colassù con maggior agio, e di poter vincere la diffidenza del custode. Fra quei documenti, d’acchito, notai molte lettere di Napoleone III, legate in fascio con un nastro di seta verde, e altre di Vittorio Emanuele II.
Ricevuta che ebbe questa lettera il Loliée soffrì il soffribile e tempestò di telegrammi il Mazzini. Il quale tornò lassù, in collina, nella casa morta. Ritrovò le ragnatele, ma non più il baule, ch’era scomparso, e del quale il custode nulla gli seppe dire. Questo è appunto il baule che si è sfasciato, cedendo nel fondo corroso, presso il Teatro Dal Verme, in un pomeriggio brumoso, poche settimane or sono, a Milano. Si pensava da molti alla sua esistenza, ma nessuno si era mai data la pena di ricercarlo. A dare l’idea dell’interessamento morboso che i documenti racchiusi in quel baule possono suscitare, e non solo presso i cultori di storia, credo siano sufficienti due episodi che ischeletrisco.
Il 24 dicembre dell’anno 1901, a La Spezia, la polizia procedeva all’arresto di certa Vergazzola, già domestica della Contessa di Castiglione, e spiccava ordine di perquisizione nel domicilio della detenuta, nel quale si riteneva fossero occultate lettere autografe di Napoleone III, di Vittorio Emanuele II, del Cavour, della regina Augusta di Prussia e della granduchessa Stefania, per non citare che il meglio. La perquisizione eseguita non portò in luce che qualche oggetto di lusso, colà disambientato, di indubbio provenienza, un crocifisso d’avorio in un sol pezzo, finemente scolpito, alcune cristallerie preziosamente tagliate, e argenterie di pregiato cesello; il tutto provento evidente di furterelli domestici; ma nessun documento.
L’affare di un esperto
Il secondo episodio è anche meglio illustrativo. Dopo la morte della Contessa di Castiglione, avvenuta in Parigi l’anno 1899, vi fu, da parte dell’opinione pubblica parigina, un risentimento chiassoso contro il procedere delle autorità italiane che avevano richiesto l’apposizione dei suggelli alle porte dei domicili in Parigi della defunta. L’Ambasciatore d’Italia a Parigi disse ad un intimo, la sera stessa in cui si commentava in casa sua il provvedimento: «Waldeck Rousseau può protestare finché crede. Ma affari di Stato, nostri, se glissèrent dans la correspondance de cette dame. La nostra delicata azione diplomatica di annate perigliose verrebbe messa allo scoperto. Non lo permetteremo mai ». Gli eredi della Contessa di Castiglione elevarono alte proteste. Avvocati famosi intervennero a prendere le redini della contesa. La macchina giudiziaria venne messa in moto. Ma tutto fu inutile. I suggelli non vennero tolti.
Ritorniamo al nostro baule. Eredi lontani della Contessa di Castiglione, o aventi diritto che siano, si dichiararono disposti, tre mesi or sono, a vendere al miglior offerente quel vecchio baule zeppo di manoscritti a causa del quale da un mese e più vado facendo una malattia. Un esperto della materia si precipitò in sordina a La Spezia. Mentre il cuore gli sobbalzava dentro, di fronte agli offerenti crollò con indifferenza il capo, disse che quel « materiale » non poteva che dare fastidi a tutti, e accennò anche a un possibile intervento della polizia, « per via dei diritti di Stato » mentre andava rapidamente, e con apparente distacco, esaminando manoscritti su manoscritti con sguardo d’aquila.
Infine l’esperto conchiuse: — E’ una faccenda che non interessa più nessuno, ormai. Ad ogni modo vedrò di mandare in settimana un acquirente, sempre che mi si assicuri da parte loro il più assoluto riserbo. — Questa vecchia volpe finissima inviò l’acquirente, persona di sua stretta fiducia, tre giorni dopo. E l’acquirente delegato, dopo un ponderoso esame del « materiale », offerse ottocentomila lire di compenso. La cifra non venne discussa. E il delegato acquirente si portò a Milano sulla propria giardinetta il baule vecchio di cent’anni o poco meno. Quel contenuto, circa quarantamila autografi (trecentosette lettere di Napoleone III, quarantasei di Vittorio Emanuele II, altre del Cavour, del marchese di Villamarina, del duca d’Aumale, di Robert d’Orléans, del Nigra, della regina Augusta di Prussia, del duca di Vallombrosa, di Amedeo di Savoia Aosta e via dicendo, oltre a migliaia di minutazioni di lettere scritte ai più disparati personaggi del suo tempo dalla Contessa di Castiglione, la quale minutava, sotto il flusso discorde dei pensieri, fin cinque volte una lettera prima di giungere alla stesura definitiva, scrivendo in tali minutazioni in lungo ed in largo nei quattro sensi del foglio nel quale si accavallavano per tal procedere appunti a diritto ed a rovescio) tutta questa bazza, dicevo, andrà dispersa alla fine del prossimo maggio durante una serie di aste in Parigi all’Hotel Drouot: a peso, ottanta chilogrammi di documentazione di carattere storico. Una sola lettera della Castiglione, nella minutazione, copre centottantasette facciate.
Quando si pensi alle mille cautele messe in atto alla fine del secolo coll’ntento di inibire al pubblico la conoscenza delle arti sottili della Contessa di Castiglione, plenipotenziaria fascinosa, che nella prima fase della sua vita diplomatica esplicò appieno il mandato conferitole dal Cavour « Una bella contessa è ingaggiata nella diplomazia italiana. L’ho invitata a civettare coll’Imperatore » eccetera, lettera del Cavour al Cibrario).
La verità alla luce
Quando ancora si voglia ricordare che il ministro agli esteri d’Italia oggi in carica, allora addetto presso la segreteria della nostra ambasciata a Parigi, ricevette l’incarico dal nostro ambasciatore colà di curare che venissero dati alle fiamme i documenti rinvenuti presso l’ultimo domicilio della defunta (ma quanto poca cosa, di fronte a codesti ottanta chilogrammi che vengono oggi alla luce); quando si tenga presente che la medesima procedura venne adottata per le carte depositate dalla Castiglione presso la banca Rothschild; quando si consideri che il Procuratore della Repubblica di Francia in Parigi condivise dopo un superficiale esame di qualche manoscritto l’opinione dei responsabili rappresentanti i governi di Francia e d’Italia e volle assistere all’opera di distruzione; e quando non si voglia dimenticare che il motto che si è scritto intorno alla « diplomatica seduttrice » è stato ricavato dalle sole ceneri di quei documenti, quando non impostato sulle più strampalate congetture, vien fatto di concludere ohe la verità dispone delle vie più stravaganti per venire alla luce insopprimibilmente, e di pensare che questi ottanta chilogrammi di « assolutamente inedito » giungono alfine a far piazza pulita del pettegolezzo romanzato.
Perchè si deve pur dire che anche gli storici di più serio intendimento, per tracciare il quadro della vita della Contessa di Castiglione e per giudicare della parte da lei presa alle vicende politiche del suo tempo, dal ministero piemontese del Cavour a quello italiano del Pelloux, fondarono i loro studii sul carteggio che da lei proveniva; soprattutto, su tutto ciò, insomma, precipuamente, che usciva dalla sua mente, e non vorrei scrivere fantasia, e scorreva dalla sua penna, in lettere indirizzate ai Walewski o ai d’Aumale, agli Orléans o ai Thiers, e via di questo passo. E Dio solo sa come questa gentildonna sapesse mentire franca come una spada quando la menzogna poteva soccorrere ai suoi disegni. (Continua)
Rupignié
StampaSera 26/03/1951 – numero 72 pagina 3
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