NON E’ VERO MA CI CREDO

NON E’ VERO MA CI CREDO

Non solo la bassa plebe le persone malauguriose fugge, ma credono alla jettatura puranche gravi togati, cavalieri di rango, avvocati, giurisperiti, medici valenti, matematici sublimi, acuti filosofi, e tante a me note persone coltissime ed erudite. E voi ve ne state trascurati e neghittosi in materia di jettatura, e poi venite a negarmela con una fronte marmorea, ed ammetterla solo negli spazi immaginari della fantasia.
(Nicola Valletta – Cicalata sul fascino volgarmente detto jettatura, Napoli 1787)


Incuriosito da questa frase pubblicata da gigi Di Fiore mi sono dedicato alla ricerca e alla lettura del libro del VALLETTA e ho creduto opportuno rendere noto, alcune pagine, di questo ennesimo  mio lavoro di ricerca integrato dalla pubblicazione di alcune pagine del libro “Capricci sulla JETTATURA” di Gian Leonardo Marugi e del suolibro integrale in formato pdf:


RICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL LIBRO “CICALATA SUL FASCINO VOLGARMENTE DETTO IETTATURA” di NICOLA VALLETTA

COP 6 7 Cicalata_sul_fascino_volgarmente_detto_j-2_Pagina_1CICALATA SUL FASCINO
VOLGARMENTE DETTO IETTATURA
di NICOLA VALLETTA
Felix qui potuit rerum cognoscere causas.
Virgil Geòrgie, lib. 2.

Napoli 1820
da’torchi di SAVERIO GIORDANO.

Con approvazione.

VITA DI NICCOLA VALLETTA
Estratta dalla biografia degli uomini illustri del regno di Napoli ec.

Se mai, descrivendo questa vita, ho provata interna soddisfazione di animo, egli è ora , che mi è dato sparger questi pochi fiori sull’avello dell’ esimio giureconsulto, oratore, e poeta, il quale per mia ventura ebbi a maestro, e cui mi strinse dalla prima mia giovinezza legame di costante ed ingenua amicizia. Il tempo di ogni cosa struggitore, può bene nel rapido suo rivolgimento rapir le anime a noi più care; ma non avrà mai alcun impero su i puri sensi del nostro cuore, laddove questi sieno da affetto di virtuosa riconoscenza inspirati.

Sotto il puro cielo di Arienza, nobile ed antica terra della Campania, posta in ameno ed ubertoso sito, venne NìccoIa Valletta alla luce il dì 22 Giugno del 1748.
Pietro Pialletta fu il padre, e la madre Rosa Farace, entrambi di onesta e civile condizione, é de’ beni della fortuna benevolmente agiati. Il giovinetto sin’ da
più teneri anni dimostrò egregia indole, docili costumi,ed acume non ordinario d’ingegno; onde provveduto dell’accorto genitore di sufficiente maestro, compiè sotto la costui disciplina i primi studj delle lettere umane. Fu quindi inviato in Napoli per quivi trascorrere il campo delle maggiori facoltà, dacché le più nobili speranze
faceva concepir di se, le quali non tornarono vane. Carlo Carfora suo paesano, avvocato di nome a quel tempo, uomo di colte lettere e di ornati costumi, scorgendo sì felici disposizioni, prese il Valletta sotto la sua spezial cura, dirigendolo negli studj, ed aprendogli la scelta bibioteca che raccolta avea. Ebbe egli al tempo stesso la sorte di avere per maestri due sommi uomini Antonio Genovesi, e Giuseppe Pasquale Cirillo; e sotto la disciplina dell’uno si approfittò egli nella miglior filosofia, con la scorta dell’altro nella colta e soda giurisprudenza, e di entrambi divenne il familiare, e l’amico.

Con tale avviamento, con assidua istancabile applicazione fu il Valletta in grado di mostrarsi con apparato di ampia e matura erudizione in qnell’età, nella quale altri appena imprende ad imparare. Fu riguardato dunque con maraviglia di soli anni dieciassette correrli primo letterario arringo, essendo concorso a gara di soggetti distinti per merito e per lettere alla Cattedra della Moral Filosofia nella nostra R.U., e se non «la ottenne, cagione ne fu la troppo giovanile età sua.

Sì fatto sperimento, il suo ingegno e la sua dottrina gli attirarono la benevolenza dei dotti uomini che allora fiorivan tra noi, siccome la vivezza dello spirito i fiori dell’amena letteratura e della poesia dei quali si ornava , la grazia ond’egli accompagnandosi con melodioso concento, cantava estemporanei versi, lo rendevano la delizia delle colte brigate e delle ornate donne, che lo ricercavano con sollecita cura.
Egli divisò allora d’imprendere ne’ nostri tribunali la legal carriera; ma l’amore della quiete, l’indole sua tranquilla e pacifica , le pratiche e i raggiri forensi nel ritrasser ben tosto , ond’ei deliberò di professare la pura scienza del Dritto dalle Cattedre e nelle Scuole.

Nel 1772 pubblicò il N. A. per le stampe un’Operetta — De animi virtute ethices syntagma in 8° Nap., la quale riscosse singolar lode. Volle quindi fare altro pubblico sperimento, e di anni 25 concorse alla Cattedra delle Decretali; e poscia nel 1779 seguita la morte del suo Maestro Cirillo, a quella delle Pandette ed in questo anno pubblicò i suoi Elementi del Diritto del Regno i quali poscia rifusi ed ampliati, fuori da lui ripubblicati nel 1785 in 3 volumi in 8° col titolo — Delle leggi del Regno Napoletano.

Dopo aver corso altri pubblici arringhi gli fu in fine conferita la lettura delle Civili Jstituta , e come incominciò a dettar dalla Cattedra le sue lezioni, si vide concorrere a folla la studiosa gioventù ad ascoltarlo. Nè minore era la frequenza nel suo privato ginnasio, tutti essendo allettati i colti giovani dalla chiarezza ond’egli disviluppava le più astruse quistioni del Diritto, dal metodo e dalla eloquenza ond’egli dettava le sue lezioni, e dai fiori de’ quali le spargeva. Ottenne in progresso, dopo altro concorso, la Cattedra del Diritto del Regno, indi quella del Codice Giustinianeo. che ritenne sino al 1806, nel qual anno riprese quella del Diritto del Regno, e finalmente nel 1812 fu nominato Professore di Dritto Romano, e Decano meritissimo della legal facoltà, (a)

(a) Le opere principali del Valletta, oltre di quelle da noi accennate, sono — Juris Romani Institutiones brevi planaque metodo concinnatae — Partitiones Juris Canonici Tom.I, Oratio in solemni studiorum instauratione habita in Neapolit. Archygmnasio — Cicalata sul Fascino: Canzonette Tom. I — Elogio Funebre del Marchese Baldassarre Cito.Il Valletta si dilettò molto del nostro graziosissimo dialetto, e molti componimenti in esso dettò, spezialmene una traduzione di Orazio intitolato
Arazio a lo Mandracchio, che manoscritta, tra altre inedite opere si conserva da’suoi eredi. Un Catalogo esteso di tutte le sue opere può leggersi ne’due elogj de’ Signori Villarosa e Lampredi.

Nel 1814 fu decorato dell’Ordine delle due Sicilie, nel qual anno recitò una dottissima orazione latina nell apertura degli studj della nostra R.U. Nell’anno medesimo
aggravato sempre più da certa sua cronica indisposizione asmatica, logorato dalle fatiche e dalle veglie di mezzo secolo, che aveva impiegato per la gloria della sua patria, per la istruzione della gioventù, e per lo bene delle lettere, terminò placidamente i suoi giorni il dì 21 di Novembre, compianto da tutti i buoni, e fu seppellito nella Congregazione di S. Andrea accosto la Chiesa di S. Pietro ad Aram, lasciando di se desiderio in chiunque lo conobbe in sua vita, massime ne’suoi scolari, tra i quali moltissimi occupano le più distinte cariche dello Stato.

Nicola Valletta fu uomo nudrito nel seno della più colta erudizione. Era egli formato non meno ai severi studj, che alle delizie dell’amena letteratura, e le sue
opere latine hanno il pregio di eleganza, di metodo, e di una chiara concisione. Tutto il bello egli sentiva della poesia; ma non vorrei però che il poetico suo pregio si rilevasse dalle sue canzonette, le quali quantunque non manchino talora di grazia, si scorge non per tanto che molte furono dall’Autore scritte più per le spinette delle Dame, che per esser messe alla pubblica luce. Moltissimi però de’suoi sonetti sono di ottima lega, e questi sono stati già in parte pubblicati.

Ci sia permesso di qui inserire un Sonetto da noi composto in morte del nostro meritissimo precettore ed amico,ben piccola testimonianza di grato animo e riconoscente.

Da te già un tempo ciò che involve e asconde
Civil Ragione e Universa intesi,

A penetrar dietro tue orme appresi
Del Dritto entro le latebre profonde :

Teco ne venni alle Castalie sponde,
Della fiamma Dircea per te mi accesi,
E fu mia colpa sol s’io non mi resi
Di mirto degno e di Apollinea fronde

Or tu salisti a la più eccelsa parte,
Ed a’più illustri ivi ti assidi accanto
Per saper grave e per la Delfic’arte.

A ! se mai di amistà voce può tanto,
Mira, del lauro son le foglie sparte,
E in duol rivolta la mia cetra e in pianto. >

A. Mazzarella da Cerreto


RICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL LIBRO “CICALATA SUL FASCINO VOLGARMENTE DETTO IETTATURA” di NICOLA VALLETTA

DA PAG 7-11

4- Etimologia delle voci FASCINO E JETTATURA.

E per ordir dall’uovo, la stessa voce iettatura fatta già cittadina per prescrizione, è nata, dal gittarsi su di alcuno gli occhi attenti, ed immoti. I Toscani dicono
affascinamento, mal d’occhio (E soglioao anche d’ire gettare incantamenti. Vocabol. della Crusca.). Tal’è ancora la Vecchia, e vera etimologia della voce- fascino; perciocché (lasciando da banda che alcuni l’han dedota dalle fasce le quali per lo più di tre colori composte, si adoperavano da’ fascinatori malvagi (Alcuni deducono la voce fascinum a fascis dalle fasce, colle quali nel fascinar si ligava, e cge i Greci chiamavano.Eutropio lib.3 obligamentum magicum, e Fabio Vittorino, lib,1 . Rhetoricorum , ineantationem ^,e ligaturas. Specialmente solevano servirsi de’panni di tre colori da illigare, ed incantare, come altresì a disciogliere, ed espiare. Quindi Virgilio Ecl.8. Terna libi haec primum triplici difersa colore Licia circurndo).

E poco dopo; Nocte tribus nodis ternos, Amarylli, modo Veneris, dic vincula necto.
E Petronio Arbitro in Satyrico pag,75: Illa de sinu licium protulit varii colori filis intortum, cervicemque vinxit meam: moae turbatum saputo pulverem medio sustulit digito, frontemque repugnantis cioè incantando. Opinavano infatti i primi padri nostri, che alcune parole, come versi composte e concinnate, potessero sedar tempeste, l’amore altrui conciliare, curare i morbi, addolcire i serpenti, e che so io ( Nicol Perot. in Cornucop. super Mafrtialem. epig.2. column. 515.lin.52).
Di qui è, che canto talvolta per incanto si usurpa.

Frigidus in pràto candando rumpitur anguis.

scrisse Virgilio (Eclog. 2).Appresso; i carmi, che per conseguir qualche bene pria si adoperavano, atti si credettero ad inferir de’mali. E perciocché gliincantatori, nom sempre parole profferivano, secondo il primo significato d’incanto; ma implicavan quelle fralle labbra, borbottando, di qui fu, che si credette, che s’incantasse cogli occhi(Jo Idelphonsus Complutensis. Hieron. Mercurial, lib.1. de morb puer cap.3. Fragosus Corthagena).
Credo fermamente perciò, e scommetto gli occhiali miei ancora,che la più semplice,e più vera significazione della parola fascino, sia quella di Cloazio Vero,rapportata da Gellio(Noct. Acti.XVI 12.), vale a dire dal Greco. E donde viene detto oculis aspecto occido( Vedi Vossio nell’Etimologico vol. fascinum).
Quindi … significa invidere, cioè, al dir di Tullio nimium videre : mentre gli invidiosi più che gli altri, la jettano infallibilmente coll’aspetto, e dalla felicità, e da’ beni altrui gli occhi non, rimovon giainmai. Che vi, credete ? Anch’io avea un pò di Greco in casa, e di sceltissima vigna: ma col tempo si va perdendo.
Siffatta originazione è più consentanea alla nostra bella voce dettatura, che agii occhi principalmente attribuir sogliamo; allorcbè alcuni jettatoi incontrandoci, o stando a noi rimpetto, od a’fianchi, il gioco gli affari, i falli, e la persona nostira ancora viene a male, e rovina (È grazioso un Poemelto sulla Jettatura del
fig. Cataldo Carducci, se non che sparso è qua e là a capriccio di veleno centra un Ordine rispettabile. Le migliori strofette io recherò in queste noterelle, acciò uom sappia quanto tu esse v’ha sul mio argomento.)

Non suon’ altro feitalara ,
Che malia, fulmin, contagio,
Un malanno, una sciagura :
Tal si noma or per adagio;
Che con lei va mito insieme
Il peggior, ch’uom fgge, o teme
E chi mai può dir che sia

5. E’ antichissima l’idea della Jettatura.

Ma lasciamo di grazia le parole a pedanti, che sono sorci, o tignuole nella Repubblica delle lettere , intesi con fasto magistrevole unicamente a’roder sillabe, e
virgolette; e passiamo a dimostrare, che la cosa fu molto prima del nome; e l’idea della jettatura, tale qnal’è oggi presso di’ noi, fu nella più rimota antichità presso tutte le Nazioni, più culte ancora.

Questa un sogno, una chimera,
O un crror di fantasia ,
Se si prora, ch’è pur vera;
E si scorge ovunque vassi,
Che attraversa i nostri passi?

Si conobbe al tempo antico
Da quegli uomini saccentim
Quando il fascino nemico
Si sentia sin dagli armenti,
E perir vedeansi Lagne
Di trist’occhio alle magagne.

Or diverso si denomina ,
Ma per anni non si ammorza
L’aspro mal, che si predomina ,
E in noi stessi prende forza;
D’uomin v’ha, di donne, infeste
Razza rea, che cria tal peste.

Là si tragge col respiro,
Là si bee cogli occhi, e attratto
Il velen suo tetro, e diro
Spesso vien dal solo tatto:
E chi può tener divorzio
Dal civile umam consorzio?

Nè isdegnerete di prender meco in mano la fiaccola della ragione e camminar primamente fralle dense tenebre de’ tempi favolosi, ed eroici; quando il mondo era bambinello di latte. Nella felice età dell’oro; oh ci fossimo stati! era bello vedere la terra dare spontaneamente non solcata i doni suoi; le piante gravide senza agricoltore di biondeggiante poma; l’erbe, ed i fiori in una perpetua primavera da acuto gelo non tocchi giammai: ma più di tutto era bello, che l’uomo non temeva jettatori, che non ce n’erano affatto; ed a ciascuno i fatti suoi venivan bene, e felicemente. Dal vaso di Pandora poi, fralle miserie la jettatura fu la prima ad uscire: scaturigine infelicemente feconda de’mali tutti, piombati addosso all’umanità, e tratto tratto in tutta la massa umana propagati, e diffusi.
E che altro vuol dire che Circe, la bella figlia del Sole, coi carmi suoi incantava, e così trasformati vedeva innanzi a se inbruti i Greci d’ ogni condizione (Vedi la Circe di Gio. Battista Gelli: operetta bella, e dotta. Virgilio bellamente cantò Eclog.8 Carmina vel Coelo possunt deducere Lunam Garminibus Circe socios mutavit Ulyssis).