TESSITURA – Tessitura caratteristica
L’antica tradizione della tessitura, è rinomata in tutta la regione. I colori e i motivi decorativi utilizzati rendono inconfondibile la produzione di coperte, sciarpe, scialli, arazzi e tappeti. Il tessuto artistico di Pontelandolfo è certamente rappresentativo nel panorama delle tradizioni sannite, è un segno distintivo di appartenenza ad un passato saldamente ancorato ai valori della civiltà contadina.
Tessitrice sannita (di Elda Rubbo) Canto della tessitrice sannita
da: Storia, arte, bellezze nei tessuti antichi e moderni di Pontelandolfo
Le colline del mio paese
sono verdi di querceti e di faggi.
Le rocce delle montagne
fanno sgorgare acque pure e freschissime.
Acque che si fanno anche lago.
Poi per scendere in basso si infiltrano
rinverdendo il bosco; s’ingrottano
per sorgere limpide!
E si fanno vorticose
a darci la loro forza,
per i frumenti nei mulini da sfarinare
e, nei filatoi
i velli a cardare e filare,
sì che la donna col filato possa
come quella antica
tenere in opera il telaio
per far venire il pane di lontano.
Così confida e racconta
la storia del suo lavoro;
dei talenti affidati alle sue cure
come un dono scelto e necessario
per congiungersi a virtù antiche femminili,
affinché non si perda
il profumo di esse!
Perché non si cancelli ma viva
ogni opera di Dio.
Biagio De Luise – il custode delle tradizioni
TESSITURA RUBBO: I TELAI DI PADRE PIO(di Elda Rubbo)
Ho scritto in più occasioni e diverse volte a mezzo stampa, che il beato Padre Pio da Pietrelcina, nel 1955, tra le molte filande dei paesi della provincia di Benevento, scelse quella della mia famiglia. i Rubbo in Pontelandolfo. inviando ambasciatrici da San Giovanni Rotondo, proprio da me, Elda, e da Gioconda Rubbo, a dire di interessarsi dei telai Jacquard che aveva ricevuto in dono da Cles, Trentino.
Oggi chiediamo perdono a Padre Pio, soprattutto la sottoscntta, per avere allora, nel 1955 tanto sminuito l’importanza della proposta; dell’onore della scelta fatta e dell’incarico a noi dato.
Forse che Padre Pio, venerato e conosciuto in tutto il mondo, anche da non cattolici, non avrebbe potuto, ad esempio, donare al Ciad dove esistono vescovi e missionari cappuccini della stessa provincia monastica nostra (appartentgo anch’io, terziaria trancescana a questa provincia), per far lavorare giovani? O non avrebbe potuto offrirli ai suoi devoti dell’India dove molti quasi bambini di 8, 9, 10 anni, annodano, seduti per terra, i tappeti, dando loro la possibilità di migliorare il loro lavoro? oppure in altre regioni d’Italia?
Perdonaci Padre Pio se non pensammo di essere state prescelte nel mondo e non solo in provincia di Benevento. Fortunate e privileglate noi, Elda e Gioconda, fummo accolte con tanta benevolenza a Cles, nel Trentino, perché eravamo le inviate di Padre Pio da Pietrelcina! E i telai furono impiantati tutti e presto qui in Pontelandolfo, presso la filanda Rubbo. in una comunità. che, purtroppo intenta ad impianti di moderni telai meccanici e persino automatici (ultimo ritrovato della tecnica tessile), disprezzò quasi i telai di Padre Pio.
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Ricerca a cura del prof. Renato Rinaldi
LA TESSITURA ARTIGIANALE
Le origini della tessitura sono spesso legate ad una divinità.
Basti pensare che il simbolo dell’antica arte della tessitura, che trova ampio riscontro nell’affascinante mondo dei racconti, delle leggende mitologiche, è rappresentato da Penelope, regina greca, figlia di Icario e di Peribea, che per lunghi venti anni attende, speranzosa, nell’isola di Itaca, il ritorno dello sposo Ulisse, errabondo per i mari, ingannando il tempo e i Proci, insidiatori malvagi pretendenti al trono, tessendo di giorno e disfacendo di notte il medesimo manto. L’arte della tessitura allora nasce dal mito, dalla leggenda: dall’uomo neolitico agli Egizi nel 5000 a.C., alla lavorazione della seta nel 1700 a.C., attraverso l’espressione dell’arte Bizantina ad Alessandria d’Egitto, al Rinascimento Italiano, che con i velluti e i broccati Veneziani e Fiorentini, dipinti anche dal Tintoretto, da Giorgione Tiziano e dal Veronese, raggiunsero livelli mai conosciuti.
Il significato dei colori
Il colore fu, sin dai tempi più remoti, lo strumento espressivo artistico-magico-religioso più conosciuto e diffuso presso i popoli di tutte le regioni geografiche.
Trattare del simbolismo del colore implica cercare delle indicazioni delle sue origini simboliche, sia all’interno di culture primitive, sia nelle tradizioni particolari.
Nell’antichità più una società era stabile e strutturata, più l’uso sociale del colore, dei suoi codici e del suo simbolismo era rigidamente stabilito.
Tutto l’arco della storia, dall’epoca minoica sino al tardo Ellenismo, è un esempio di ricca policromia: vasi, suppellettili, gioielli erano vivacemente dipinti; l’abbigliamento presenta una gran varietà di tessuti variopinti con accostamenti contrastanti di rosso, giallo e azzurro.
Gli antichi Greci erano anche abili tintori: i poemi omerici ci mostrano Nestore e Telemaco vestiti con mantelli purpurei.
I Fenici esprimevano il loro gusto per il colore anche nell’abbigliamento prevalentemente da tunica di lana; i più ricchi sfoggiavano tessuti preziosi in vari colori e mantelli riccamente ricamati. Questi tessuti venivano esportati in tutto il bacino del Mediterraneo e costituivano un simbolo di lusso e ricchezza presso ogni società.
La produzione di tessuti colorati e in particolar modo di quelli tinti in color porpora costituì l’industria più importante di tutta la Fenicia, celebre in tutto il mondo antico.
Per ciò che riguarda l’Italia numerosi resti di piante coloranti, ritrovati nei frammenti di tessuti della palafitta di Ledro in Trentino, fanno supporre l’esistenza di una produzione tintoria che si perfezionò e diffuse nei secoli seguenti. Dapprima per opera delle colonie della Magna Grecia, poi per opera degli Etruschi e degli intensi scambi commerciali tra la Penisola e l’Oriente.
Nell’ VIII secolo a.C., quando le colonie italiane della Magna Grecia erano ricche e industriose e gli Etruschi conoscevano un periodo di grande splendore, Roma, entrò in contatto con questi popoli ricevendone i primi insegnamenti sulle arti e i mestieri.
In età imperiale anche l’abbigliamento conobbe un lusso sfrenato: dall’Oriente venivano importati tessuti multicolori, richiestissime dalle donne romane, e le preziose sete che poi venivano tinte e ricamate in vivaci colori che si fissavano con particolare luminosità.
IL ROSSO COLORE DELLA REGALITA’,DEL POTERE E DEL LUSSO
Anticamente il concetto di rosso abbracciava una vasta gamma di sfumature che, passando per le terre, erano incluse tra il porpora, il viola e l’arancione; vari erano i termini usati per indicarne le diverse gradazioni: porpora, scarlatto, kèrmes.
Nella tintura dei tessuti, fin dai tempi neolitici, si sfruttarono diverse sostanze vegetali, come il succo del mirtillo e la robbia dalle cui radici veniva estratto, mediante fermentazione, il principio colorante.
Una vera e propria rivoluzione tecnologica nella produzione del colorante rosso si ebbe con l’estrazione della porpora.
Dalla Fenicia la porpora venne esportata in tutto il Mediterraneo e diffusa tra i popoli vicini: gli Egiziani conobbero il lusso della porpora sotto il regno dei Tolemei; i Greci adottarono la porpora fenicia come il più nobile dei colori; i Romani l’impiegarono per il vestito ufficiale del re, dei magistrati e degli alti funzionari.
Fin dalla più remota antichità il color porpora rappresenta l’emblema della potenza, dell’alta dignità, della ricchezza; fu legato al concetto di sovranità per la sua sontuosità, per la difficoltà e per l’alto costo della sua produzione.
Il colore rosso fu applicato anche alle vesti dei re-sacerdoti e della casta sacerdotale in genere, allo scopo di distinguere gli abiti regali ed ecclesiastici da quelli civili e di sottolineare la supremazia di questa classe sulle altre. L’abito rosso fu dapprima prerogativa divina e poi divenne regale, sacerdotale e festiva.
In età imperiale a Roma si diffuse l’uso dei mantelli o toghe tinte in color porpora quando si andò affermando un modo di vestirsi più semplice e la toga divenne esclusivamente un abito da cerimonia.
L’avvento dell’età imperiale segnò la fine della nobilizzazione del porpora perché l’afflusso di ingenti somme di denaro nelle casse dello Stato deteriorò il suo significato, trasformando l’antico segno distintivo di potere in un mezzo di ostentazione del lusso e della ricchezza.
Tecniche di tessitura e di tintura in Messico
TRATTO DA :Sacks Olivier, “Diario di Oaxaca”, Feltrinelli, pag. 109
“Osserviamo le operazioni di cardatura, pettinatura, tessitura della lana, gli operai al lavoro tra i grandi telai di legno, ma il nostro interesse, il mio, per lo meno, è per la tintura. Vengono adoperati solo coloranti naturali, in uso già migliaia di anni prima della Conquista, e ogni giorno si usa un colore diverso, quasi sempre di origine vegetale. Oggi è la giornata del rosso, il giorno della cocciniglia.
Quando gli spagnoli videro per la prima volta la cocciniglia rimasero sbalorditi, poiché nel Vecchio Mondo non esisteva tintura di un rosso così intenso, così stabile, così resistente agli agenti esterni. La cocciniglia, insieme all’oro e all’argento, divenne una delle grandi risorse del Nuovo Mondo, più preziosa, forse, a parità di peso, dell’oro stesso. Ci vogliono settantamila insetti, ci spiega don Isaac, per produrre mezzo chilo circa di tintura in polvere. Le cocciniglie, di cui si usano solo gli esemplari femmina, si trovano soltanto su determinati cactus originari del Messico e dell’America centrale. Ecco il motivo per cui la cocciniglia era sconosciuta nel Vecchio Mondo. Fuori della filanda di don Isaac si trovano dei cactus al cui interno gli insetti formano dei piccoli bozzoli cerosi, bianchi e duri, simili a placche, che si possono rompere con la punta di un coltello o con un’unghia. Una volta estratti, gli insetti vanno ripuliti della cera e poi schiacciati, ed è ciò che stanno facendo i figli di don Isaac, passando e ripassando con un rullo, fino a ottenere una finissima polvere rossa che va dal magenta al carminio intenso.”
L’ARTE DELLA TESSITURA :LA CONQUISTA SPAGNOLA
Il 18 Febbraio 1519 Hernan Cortes parte da Cuba al comando di 11 navi e 600 uomini con l’intendimento di conquistare le terre costituenti oggi lo Stato federale del Messico ed allora unificate sotto il dominio degli Aztechi: la Spagna aveva lo scopo di sfruttare le grandi risorse minerarie – soprattutto argento- di quei paesi-
Rapida fu la conquista: gli Spagnoli sbarcano presso l’odierna Vera Cruz nell’Aprile del 1519, arrivano a Tenochtilan -capitale dello Stato Atzeco- nel Novembre dello stesso anno. Oscuri sono i motivi per i quali Montezuma II, re degli Aztechi, favorisce i disegni di Cortez; ma Cuauthemoc, suo successore, organizza una strenua resistenza all’invasore; gli Spagnoli tuttavia, contando sulla superiorità del loro armamento e sull’appoggio di popolazioni locali contrarie agli Aztechi, il 13 Agosto 1521 espugnano Tenochtilan. Finisce allora l’indipendenza del paese: gli storici definiranno il periodo precedente la conquista spagnola “precolombiano”; esso è segnato dal susseguirsi di varie civiltà dovute a popolazioni diverse (Olmechi, Maya, Toltechi, Aztechi), tutte portatrici di una grande fioritura artistica ed intellettuale.
Nel 1521 inizia dunque per il Messico il periodo coloniale, che durerà tre secoli esatti, fino al 1821. La politica dei conquistatori tende ad uno sfruttamento intensivo delle ricchezze del paese, sovvertendo radicalmente i sistemi economici delle epoche precedenti; nei riguardi delle popolazioni locali si attua una sorta di genocidio, che conduce ad una drastica riduzione della loro consistenza : si stima che dai circa 70 milioni del 1521 si contassero nel 1650 non più di tre milioni e mezzo di indigeni.
Nei secoli della colonizzazione si gettano le basi degli squilibri economico-sociali del Messico: le ricchezze vengono trasferite in Europa e nessuna attività produttiva è avviata con l’intendimento di migliorare le condizioni delle popolazioni indigene; nei riguardi delle quali si dispiega ben presto l’interesse della Chiesa Cattolica, rivolto alla cristianizzazione degli “infedeli”.
Ma la Chiesa avviò anche una politica culturale, non priva di contraddizioni, ma che condusse, in ogni caso, alla apertura di numerose istituzioni scolastiche e alla conservazione di un nucleo significativo di opere d’arte precolombiana.
I LUOGHI E I SIMBOLI DEL TESSERE E DEL FILARE
Sono molti gli attrezzi e gli utensili legati ai cicli produttivi del lavoro agricolo, che ad una analisi etnogra¬fica risultano avere i caratteri di una bífunzionalità culturale: una di stampo produttivo ed una dì stampo simbolico-rituale.
Molte pratiche lavoratíve trovano nel rito una fase del loro esprimersi; un esempio puó essere tratto dall’uso produttivo e simbolico del telaio in alcune aree deIl’ltalia centro¬settentrionale; a fianco ad una serie di operazioni lavoratíve, in cui lo strumento si situava come mezzo rilevan¬te di una economia familiare di sussistenza, si attuavano operazioni rìtuali legate alla difesa, garanzia e verifica della verginità femminile.
L’attività filatorio -tessile occupava nell’esperienza popolare un posto di grande rilievo, concorreva spesso alla caratterizzazione di una economia fa¬miliare di sussistenza nella quale il fenomeno lavorativo femminile si indirizzava,oltre al lavoro della terra,a tutte quelle operazioni “domestiche”necessarie al sostentamento familiare. Assieme al cucinare, alla responsabilità del piccolo allevamento, alla cura della prole e della casa, il filare e il tessere, corrispondevano, nella quo¬tidianità e nell’immaginario, agli am¬biti propri della presenza e della ope¬ratività femminile, anche in conside¬razione del fatto che il filare e il tesse¬re occupavano nel quotidiano un am¬pio spazio temporale e simbolico.
Una attenta analisi del rapporto fra la pretesa sociale di un chiaro ruolo femminile nella famiglia e nella società e il lavoro di filatura, induce innanzitutto ad osservare che il filare segue storicamente e culturalmente le vicen¬de dei femminile e conseguentemen¬te porta all’individuazione di un rap¬porto donna-filatura i cui caratteri simbolici sono quelli dell’identità ses¬suale, e della sua giustificazione nei confronti del gruppo familiare e della collettività.
Dalla mitologia indoeuropea ai rac¬conti popolari, dall’iconografia colta alle rappresentazioni, sia sacre che profane, al filare e all’ ”imbracciare” la conocchia è dato il compito di sot¬tolineare la qualità genitale e sessuale dei femminile legata alla riproduzio¬ne e ai ruoli di moglie-madre. La conocchia appare quando si determina l’esigenza della produzione di immagini e simboli che ricordino che la pre-senza femminile nel mondo poggia sui caratteri della sua qualità e quantità.
L’INDUSTRIA TESSILE NEL PANORAMA ECONOMICO
La vita economica nella seconda metà del ‘400 risentiva in Italia, come negli altri paesi europei, le conseguenze dei mutamenti e dello spostamento delle grandi vie commerciali.
La maggiore industria italiana del Medioevo rivela, almeno come industria esportatrice segni evidenti di decadenza. Si tratta di una decadenza non solo di quantità ma anche di qualità: l’industria laniera, diffusa in tutti i centri maggiori e minori d’Italia provvede ai bisogni della popolazione rurale e delle classi inferiori della popolazione cittadina.
Nelle città quali Firenze, Milano, Como e Padova, dove l’industria laniera presenta una produzione superiore ai bisogni locali, alimenta una notevole esportazione nelle altre regioni italiane e spesso anche all’estero. Sul mercato internazionale le stoffe di lana italiane hanno perduto la posizione che avevano goduto per quasi due secoli. Gli stessi mercanti veneziani per accontentare la loro clientela d’oriente devono dare le loro commissioni agli artigiani di Fiandre e Gran Bretagna. Questa inferiorità italiana è dovuta ai progressi dell’industria inglese divenuta ormai prestigiosa.
Il secolo XVIII era caratterizzato dal trionfo delle macchine e dalla grande impresa dell’industria. L’enorme sviluppo della capitale inglese, l’intensificarsi degli scambi internazionali e il moltiplicarsi degli scambi interni determinano una profonda trasformazione nella tecnica e nell’organizzazione economica e giuridica della produzione che prende il nome di rivoluzione agraria e rivoluzione industriale.
Si tratta di grandi mutamenti un po’ più lenti nell’agricoltura e un po’ più rapidi nell’industria.
La prima espressione della rivoluzione agraria si manifesta nel profondo mutamento del mercato dei cereali e nella trasformazione che ne deriva nella politica agraria.
Col termine rivoluzione industriale si vuole indicare quel processo di rapida trasformazione degli impianti e dell’organizzazione tecnica ed economica dell’industria, che si accompagna all’invenzione e all’impiego delle macchine.
Nell’industria tessile come in altri settori, l’applicazione delle macchine, i nuovi processi tecnici danno origine ad una vera e propria evoluzione.
Fra le industrie tessili quella che potesse offrire il terreno più favorevole ai nuovi processi tecnici non era la vecchia industria della lana, troppo legata alla tradizione, bensì l’industria cotoniera
Il secolo XVIII può essere considerato nella vita economica italiana come il periodo della massima decadenza. La decadenza delle maggiori industrie italiane deriva dalla perdita del primato commerciale, dei mercati esteri e dalla ristrettezza del mercato interno. Ma, sopravvivono all’artigianato cittadino l’industria capitalistica che nella seconda metà del secolo raggiunge notevoli proporzioni.
Ciò che spinge alla creazione di nuove forme di industria è la concorrenza straniera, la necessità di produrre all’interno quei tipi di manufatti.
Il 1896 segna l’inizio di un notevole miglioramento della situazione economica che aveva incontrato gravi difficoltà alla fine del decennio. A risentirne maggiormente è il settore industriale e in particolare l’industria della seta che aveva dovuto superare degli anni molto difficili per la discesa dei prezzi, per la concorrenza giapponese e per la rottura commerciale con la Francia; ma, dopo il 1893 vedrà migliorate la produzione dei bozzoli e la trattura della seta dando un notevole apporto all’esportazione.
Nuovi e rapidi progressi concorsero al superamento della concorrenza straniera.
La situazione nella quale riversava l’industria tessile era piuttosto stazionaria: i telai meccanici erano ancora in numero inferiore rispetto ai telai a mano a causa della loro lenta sostituzione. L’industria della lana non risentì pienamente i progressi tanto che verso la fine del ‘700 era totalmente scomparsa dalle città e in alcune località aveva conservato il carattere della piccola industria o industria a domicilio. Sia per qualità sia per quantità, l’industria laniera non rispondeva al fabbisogno nazionale.
L’ARTIGIANATO CAMPANO
L’artigianato vanta un’antichissima tradizione nella regione Campania terra fortunata per posizione geografica e per vicende storiche. Nelle sue forme di artigianato si trovano molte realtà ben diverse e distinte fra loro. Entrambi i modelli sono pieni di inventiva, varie e ricche di storia. In uno di questi modelli si trova l’artigianato che va a soddisfare bisogni quotidiani del proprio tempo e articolato in varie forme. L’altro invece viene da esigenze prodotte da una clientela agiata con gusti raffinati e nobili.
Spesso erano gli stessi regnanti, come ad esempio Carlo III di Borbone amante delle arti e dell’artigianato locale, a dare testimonianza artigianale di qualità particolarmente pregiata all’artigianato campano.
L’arte della tessitura è nata nel 1789 per volere di Ferdinando IV di Borbone. I suoi prodotti come: seta pregiata, velluto, broccati e stoffe damascate sono molto antichi ed all’inizio erano destinati solo ai sovrani borbonici e nobili napoletani.
SANNIO USI E COSTUMI
Il Sannio, al pari di qualunque altra regione, visse un continuo processo di sviluppo,ed il ritmo dei mutamenti,piuttosto lento per la relativa inaccessibilità della zona e per la tendenza conservatrice degli abitanti,subì un’accelerazione in conseguenza delle guerre contro Roma.
Nel corso dei secoli, il graduale passaggio dalla vita di villaggio ad un tipo di cultura più urbanizzata portò inevitabilmente a dei cambiamenti nella struttura sociale,la tecnica militare,le attività economiche e le pratiche religiose.
Nel Sannio preromano esistevano ben pochi agglomerati urbani di una qualche entità; le sue montagne, infatti, non favorirono l’espansione della città.La loro era una società rurale e alcuni dei suoi insediamenti probabilmente non erano costituiti che da agglomerati di capanne di pastori, destinate principalmente ad essere usate come residenze stagionali. Nell’interno del Sannio i villaggi le cui mura si sviluppavano per non più di mezzo chilometro costituivano la norma.Molti di essi erano poco più che fortezze arroccate in cima ai monti e adattate alle asperità del terreno, sorte per necessità strategica.Altri erano situati sui sentieri dei mandriani e lungo altre simili strade del Sannio preromano; nati per soddisfare le esigenze di una economia agraria notevolmente semplice, servirono da centri di distribuzione e produzione agricola ed erano protetti da palizzate.
Dopo la conquista romana, i Sanniti cominciarono ad abbandonare le loro fortezze arroccate sui monti, o perché costretti a ciò dai Romani o perché le condizioni di vita si erano stabilizzate e risiedere in luoghi più accessibili era divenuto molto pericoloso.
Il clima freddo e la diffusione della pastorizia imponevano per lo più ai Sanniti l’uso di indumenti di lana; e l’uso di contrassegnare le tombe femminili con un fuso, suggerisce che la tessitura doveva essere una delle occupazioni principali delle donne sannite.Le pitture tombali sabelle del IV secolo fanno pensare che l’abbigliamento preferito dai popoli di lingua osca fosse costituito da qualcosa di simile ad un “chiton”per gli uomini e da un lungo “peplas”bianco senza maniche,fermato in alto da una cintura attorno alla vita,per le donne.Questo però si riferisce ai Sabelli della Campania e risentono quindi dell’influsso greco,mentre la gran quantità di”febulae”ritrovata nelle tombe rivela che gli abiti dei Sanniti dovevano essere fermati e non cuciti;erano probabilmente drappeggiati e ripiegati piuttosto che sagomati.
Antichi tessuti a Pontelandolfo
Quando con l’avvento del XVIII secolo, iniziò a delinearsi in modo concreto un risveglio demografico, favorito peraltro dalla stabilità assicurata dal nuovo Stato Borbonico, che prese corpo soprattutto nel corso del XIX secolo, si affermano a Pontelandolfo quelle arti e quei mestieri legati alle risorse locali. L’incremento della pastorizia con la conseguente produzione di lavori tessili e dei ricami, oltre che dei lavori in ferro, in legno ed in pietra, rappresenteranno l’economia prevalente e l’attività forte del paese.
Il processo di industrializzazione nascente in Europa faceva capolino tra le compagini sannitiche. Pontelandolfo è stato l’ideatore dell’arte artigianale tessile, facendo mostra dei propri prodotti sia in Italia che all’estero dove si distinguevano per pregio, bellezza e colori.
La realizzazione dei manufatti tessili di Pontelandolfo, prima ancora di identificarsi come espressione artistica, era finalizzata in origine all’utilizzo nel quotidiano. La creazione di abiti, di coperte, di mantelli, si rese necessaria per la esigenza di proteggersi e di ripararsi dalle intemperie. Ed in tale contesto assunse una posizione di primaria e fondamentale importanza il pastore, che allevava il bestiame per la produzione della lana necessaria allo scopo.
Daniele Perugini così descrive i cosiddetti panni, gli indumenti, delle donne, nella sua Monografia di Pontelandolfo edita nel 1878:
“Le donne di campagna poi, sì nell’inverno, che nella state, vestono sempre gonne di panno blù con molte pieghe fermate ad un busto del panno istesso, sostenuto da due strisce guarnite di nastri, che girano sulle spalle dai reni al petto. La gonna poi dalla parte di dietro offre due aperture, in corrispondenza delle natiche, e si distinguono per essere guarnite di molte fettucce o nastri increspati di color verde per lo più: ed onde non far comparire la camicia, aprendosi, vi sottostà un panno di lana rosso o scarlatto, guarnito di fettuccia verde che si allaccia nel petto ed è solo visibile sotto le ascelle. Il grembiale detto antiseno è di lana colorata nel mezzo: sopra e sotto presenta un ricamo a telaio di un’arte propria del comune. Fiori, geroglifici, ed animali si veggono in su fondo bianco, e quelli che usano negli sponsali sono intessuti con laminette di oro e di argento, lana e seta di vario colore”.
Fino al 1896, anno in cui fu impiantata a Pontelandolfo l’industria tessile Rubbo, i panni lana erano ancora fatti e rifiniti da donne che possedevano in casa vecchi telai a mano. La follatura o gualcatura del panno blù delle gonne, gilet, giacche e pantaloni avveniva presso le gualchiere di Sassinoro, mentre la tintura a Morcone.
Mentre nel 1825 il francese Jacquard nel centro dell’industria serica d’Europa, Lione, inventava il meccanismo ad un telaio, per ottenere facilmente questi ricami, le donne artigiane di Pontelandolfo si cimentavano con spole, aghi e forcelle per ottenere i risultati degli abbellimenti del loro grembiale (detta vantera) che, nei primi del ‘900 cambiò addirittura la disposizione dei ricami per renderlo più ricco; seguì quindi una lavorazione dei ricami in verticale, abbandonando quella in orizzontale.
Un’altra prestigiosa opera dell’artigianato tessile pontelandolfese è il panno rosso, un mantello di lana flanella di circa cm.110 x 150,con ricami in giallo, blu e verde. Le donne indossavano questo panno solo nei giorni festivi e in particolare il giorno del matrimonio perché le conferiva un aspetto sfarzoso. Una canzone, “la quatrara” (la ragazza) descrive appunto il giorno delle nozze durante il quale lo sposo si recava a casa della sposa, la quale si presentava con indosso il panno rosso. Ma cosa induceva le donne a indossare questo mantello color porpora? Per il solo piacere di possedere un po’ il manto delle regine o per l’amore per le cose belle e di valore? In realtà, alcuni studi segnalano i poteri apotropaici e terapeutici dei costumi antichi contadineschi, usati quasi come amuleti per l’allontanamento di influenze maligne. Si potrebbe pensare che l’uso del manto rosso fosse legato al bisogno delle donne di scongiurare un influsso malefico.
Fu la prima guerra mondiale che dette inizio alla fine del costume di Pontelandolfo. All’inizio della seconda guerra, quasi tutte le donne della campagna avevano riposto le ricche vesti, i panni e le “vantere” nelle vecchie cassapanche, per vestire abiti comuni meno costosi. L’oro venne venduto e fuso. Molte vantere vennero usate dalle stesse donne come tappetini da pavimento.
I lavori tessili delle ditte Morelli Emilia, madre del Rinaldi, da cui egli ha ereditato i geni dell’artista, Elda Rubbo, Antonio Corbo, hanno rappresentato per diversi decenni il fiore all’occhiello dell’artigianato pontelandolfese, occupando un posto preminente nella evoluzione socio-economica del paese.
La fase di declino è venuta a determinarsi per la impossibilità da parte degli artigiani di mantenere un mercato proprio, essendo entrati in concorrenza con le produzioni di serie delle grandi industrie (nel 1787 Cartwright inventò il telaio meccanico, che fu perfezionato e adottato nei decenni successivi: intorno al 1825 un solo operaio, sorvegliando due telai meccanici, poteva sbrigare un lavoro che con i telai a mano avrebbe richiesto l’opera di una quindicina di persone) e con il “made in Taiwan”, che producevano beni di consumo certamente meno curati, fantasiosi e raffinati di quelli artigianali, ma con prezzi di vendita più bassi.
Nei primi anni del ‘900, con la semi-meccanizzazione, e soprattutto con l’azionamento meccanico, protagonista sempre la navetta, ma senza ruote, lanciata da una spada, i telai passano da una struttura in legno ad una in ghisa. Una successiva trasformazione avviene intorno al 1950, con i telai senza navetta, a nastro. Dopo il 1960, il salto tecnologico è ancora più marcato: dai telai a pinza si passa a quelli a pinza guidata, capaci di arrivare fino a 500 battute al minuto; poi, ai telai ad aria fino a 1000 battute e infine, alla fine degli anni Ottanta, ai primi modelli computerizzati.
Nonostante l’accelerato ammodernamento tecnologico dovuto all’applicazione, per i meccanismi, di nuovi tipi di forza motrice, la tessitura continua a vivere a Pontelandolfo come arte antica, assumendo un valore significativo, che va aldilà di quello intrinseco di ogni singolo pezzo realizzato tradizionalmente: il telaio a mano, la creatività, la produzione tessile come espressione artistica, rappresentano ancora oggi un percorso, garantito dalla storia, per un futuro di possibile sviluppo per tanti giovani.
CARDATURA E FILATURA DELLA LANA
Nel 1920 in seguito al matrimonio con la signorina Livia Rubbo il signor Donato Cardano, perito tecnico, nato a Gravina di Puglia il 5 Agosto 1897 , si trasferì a Pontelandolfo dove in contrada S. Anna viveva la famiglia Rubbo.In contrada S. Anna, detta anche Costa del Conte, così chiamata per la presenza di un quadro a olio rappresentante la Santa che fila la lana(S.ANNA) con la conocchia, esistevano un mulino e una filanda entrambi azionati ad acqua, acqua che proveniva tramite un incile dalla contrada Grotte. La filanda era fornita di una lupetta per scardare la lana saltata (le pecore prima di essere tosate venivano spinte nell’acqua del torrente Alente per un lavaggio sommario) , di due carde ciascuna da cm. 80 e di una filiera. Dopo il 1920 furono introdotti dei telai di legno azionati a mano anche i piedi intervenivano in questo lavoro) per confezionare : 1) mantere (grembiuli del costume delle contadine) ; 2) tovaglie (grossi scialli blu tinti usati dalle contadine per proteggersi dal freddo) ; 3) un tessuto blu tinto per confezionare ampie gonne del costume e pantaloni maschili) ; 4) un cosiddetto panno monacale molto pesante e molto valcato, quasi impermeabile, di colore marrone (colore naturale perché veniva usato il vello delle pecore di questo colore ; questo panno monacale serviva ai pecorai che d’ inverno lo avvolgevano attorno ad un bastone piantato nel terreno , a guisa di capanna, per ripararsi dal freddo e dalla pioggia . La filanda era infine corredata di una gualchiera per gualcare i panni .
Con il passare degli anni fu abbandonato l’uso del costume tipico locale e i telai di legno vennero sostituiti da un telaio meccanici comprato in Germania , che produceva coperte, scialli e tessuti per abiti. In seguito fu aggiunto un telaio completamente automatizzato per la produzione di tessuti meno grossolani, ma sempre esclusivamente di lana di pecora; le due carde da cm 80 furono sostituite da tre carde di cm. 120 prima e di cm. 150 poi. Anche la filiera venne sostituita di conseguenza con una più moderna . Alla lavorazione dei tessuti si affiancò quella della maglieria intima eseguita accuratamente con macchine azionate a mano e usando filati ottenuti con lane selezionate per lunghezza e morbidezza della fibra. Verso il 1950 la strada comunale che da S. Rocco porta a S.Anna e continua fino al ponte nuovo fu resa rotabile con lavori finanziati dal Provveditorato ai Lavori Pubblici di Napoli e dati in appalto ad una ditta di Benevento che non portò a termine i lavori perché dichiarata fallita dal Tribunale . L’impegno assunto dal cav. Donato Cardano di finanziare l’opera iniziata convinse gli operai a riprendere i lavori per il completamento della strada.
Alla morte di Donato Cardano, avvenuta il 22 settembre 1968, l ‘attività artigianale è proseguita dalla moglie Livia Rubbo e dai figli Filippo e Giovanni. Il giorno 26 settembre 1985 viene costituita la società in accomandita semplice “Cardano Donato S.A.S. di Filippo e Giovanni Cardano e C ” organizzata sempre per l’esercizio dell’attività di produzione e commercio di filati, tessuti e prodotti tessili in genere.
In data 1 ° febbraio 1993 la S.A .S., avendo cessato ogni attività, è stata cancellata dal registro delle società del tribunale civile di Benevento
TRAMA E ORDITO
L’operazione di una tessitura vera e propria consiste nell’intrecciare l’ordito, fili posizionati parallelamente, montato su un telaio, con la trama, fili perpendicolari all’ordito. L’orditura è una delle più importanti operazioni della tessitura. Per facilitare l’intreccio tra trama ed ordito, l’artigiano utilizza uno strumento che viene chiamato spola o navetta volante (brevettata nel 1733 da John Kay). L’intreccio permette di ottenere la tela. La navetta è un pezzo di legno appuntito per essere idoneo a farsi strada tra i fili, al cui interno si trova un contenitore con una spola, la quale, al suo passaggio, lascia dietro di sé il filo. La navetta viene spinta mediante un batacchio a comando manuale e scorre con l’aiuto di piccole ruote, allo scopo di ridurre la fatica del tessitore.
I TELAI
Telaio orizzontale
Il telaio orizzontale tradizionale (“teláriu, telárzu, telárgu”), in legno, è costituito da due pesanti cavalletti paralleli che fungono da supporto per le parti mobili poste trasversalmente: un subbio anteriore, detto “subbio del tessuto”, ed uno posteriore detto “subbio d’ordito”. I fili che costituiscono l’ordito vengono tesi tra i due subbi passando attraverso un pettine di canna o metallo collocato in posizione mediana rispetto ai subbi, insieme al gruppo delle canne dei licci collegati, mediante cordelle, alla pedaliera che viene ancorata al pavimento. I cavalletti devono essere perfettamente paralleli e tutta la struttura centrale deve essere posizionata ad angolo retto rispetto ai cavalletti per evitare irregolarità del tessuto.
La tessitrice opera sull’ordito teso in posizione orizzontale, seduta su un’asse posto parallelamente al subbio anteriore, sul quale viene via via avvolto il tessuto prodotto, lanciando la spola ed agendo sui pedali che sollevano l’uno o l’altro gruppo di licci in base alla tecnica di tessitura che si intende realizzare, per la quale sarà anche stato preparato preventivamente l’ordito. La larghezza media dei tessuti prodotti su questo tipo di telaio va da un minimo di 50 a un massimo di 75 cm. I manufatti di grandi dimensioni sono risultato dell’unione di più teli.
La tessitura avviene introducendo la spola che porta la trama attraverso i fili dell’ordito. Ciò rende il lavoro assai rapido se si producono tessuti piani a trame lanciate. Per ottenere particolari effetti decorativi le trame ornamentali supplementari possono essere introdotte direttamente con le mani, mediante grossi aghi o avvolte in piccole spolette.
Sul telaio orizzontale possono essere realizzati teli di orbace, tele e tessuti spigati per la biancheria personale e della casa, teli per la panificazione, per sacchi, per bisacce. Sullo stesso telaio vengono anche realizzati gran parte dei manufatti più noti della tradizione sarda: bisacce (“bertulas”), ornamenti per buoi e cavalli (“collànas”) copricassa (“coberibancu”) e coperte (“mantas, fanugas”) caratterizzati da complesse decorazioni policrome realizzate su fondi di diverso genere con la tecnica delle trame lanciate (“a lìtsus, a briàli, a mos’te pèi”), a riccio o a grani (“a pibiònis, a rànu”), a faccia di trama (“un’indente”), a trame sovrapposte (“a bàgas, a làuru, a punt’e agu”).
I motivi decorativi sui manufatti più complessi sono i più vari e riflettono e reinterpretano i motivi iconografici propri delle culture succedutesi nell’isola. L’elenco dei motivi decorativi e delle loro combinazioni è vastissimo e in molti casi se ne è perso il significato: motivi geometrici alternati a motivi antropomorfi, zoomorfi, fitomorfi , motivi religiosi e araldici.
Telaio verticale
Il telaio verticale (“teláriu, telárzu”) è costituito da due montanti verticali fissati tra pavimento e soffitto, posti tra loro alla distanza di circa 2 m. Tra i due montanti vengono fissati due assi mobili: quello superiore che costituisce il subbio di ordito e quello inferiore che costituisce il subbio del tessuto. L’ordito viene avvolto sull’asse superiore e quindi teso su quello inferiore; due canne ed un asse con un ordine di licci, posti in posizione mediana, regolano l’apertura del passo tra i fili pari e dispari dell’ordito per permettere l’inserimento della trama. Questa viene avviata verso il basso con una sorta di grosso punteruolo d’osso ed infine battuta con un pesante pettine in legno fino a serrare e nascondere completamente i fili dell’ordito.
Il telaio verticale tradizionale è costruito interamente in legno, mentre in esemplari recenti alcune parti strutturali sono fatte in ferro e varia anche la larghezza complessiva del telaio.
Sul telaio verticale, che consente limitate variazioni tecniche, si producevano grandi coperte policrome, qualche tipo di bisaccia e un particolare tappeto funebre detto “tapinu e mortu”, la cui produzione è cessata nei primi anni del Novecento. La produzione attuale ha rifunzionalizzato le coperte in tappeti adattandone le dimensioni a questo scopo. I colori vivacissimi del passato sono stati sostituiti da tonalità smorzate e lo stesso apparato decorativo è stato modificato e sostanzialmente semplificato per adattarlo al gusto della committenza perdendo, in molti casi, le peculiarità locali.
PROTETTORE DEGLI ARTIGIANI:SAN BIAGIO
Proprio a Taranta Peligna, anticamente, grazie alla presenza della classe artigiana dei lanieri, scardatori e tessitori, ha origine il culto di S. Biagio, il protettore della gola e dei lanieri, poiché sarebbe stato martirizzato con l’attrezzo per “cardare” la lana.
Un culto che ha radici secolari e tuttora vivo. Alle falde della Majella, ancora oggi i maestri artigiani della lavorazione della lana sono i principali promotori della festa folcloristica e religiosa in onore del Santo.
La produzione orafa abruzzese di tipo tradizionale è caratterizzata, nei secoli, sia dalla realizzazione di manufatti in filigrana che dalle tecniche della fusione, dello sbalzo e del cesello. Comunque, più che nelle tecniche, si differenzia nei modelli, spesso ispirati al mondo della natura con riferimenti decorativi magico-simbolici ed apotropaici.
Gli esemplari tradizionalmente ricorrenti sono: la “cannatora”, collana girocollo formata da sfere realizzate in filigrana o stampate a sbalzo; le “ciarcèlle” o le “sciacquajje”, orecchini a navicella in lamina traforata, caratteristici di Pescocostanzo e Scanno e la “presentosa”, un medaglione a forma di stella contornato da arabeschi in filigrana. Al centro di questo ciondolo figura spesso il motivo del cuore o dei cuori uniti da una mezzaluna, simbolo e promessa di amore e, come tale, dono destinato alle innamorate.