Reggio Emilia: strada, caserma e un busto dedicati allo stragista Cialdini
I luoghi intestati al generale autore di massacri in Campania, a cui molti Comuni italiani hanno revocato le intitolazioni
di Evaristo Sparvieri
REGGIO EMILIA. C’è una strada che porta il suo nome, proprio all’angolo con viale Risorgimento. E poi c’è un busto in suo onore, che campeggia sotto il porticato del municipio, tra la statua di Camillo Prampolini e il riconoscimento di Reggio Emilia città Medaglia d’oro della Resistenza. In città, c’è persino una caserma.
È la caserma “Enrico Cialdini”, attuale sede della questura. Deputato nel primo e nel secondo Parlamento italiano, eletto per la circoscrizione di Reggio Emilia nel 1860 e nel 1861, Enrico Cialdini è stato a lungo considerato uno dei grandi eroi risorgimentali nelle Guerre d’indipendenza.
Ma ora la storia condanna la sua figura, descrivendolo come l’autore di uno dei più gravi eccidi della storia d’Italia, quando alla guida del IV Corpo d’Armata del Regio esercito – nell’ambito della guerra al brigantaggio – il 14 agosto 1861 per rappresaglia contro l’uccisione di 45 militari dell’esercito piemontese ad opera di briganti, Cialdini ordinò lo sterminio della popolazione civile dei due Comuni campani di Pontelandolfo e Casalduni: un numero mai accertato di vittime, stimate tra le cento e le mille, compresi anziani, donne e bambini, fucilati o arsi vivi in appena tre ore. «Di Pontelandolfo e Casalduni non rimanga pietra su pietra», fu il suo ordine.
Una strage che rase al suolo i due paesi, indimenticata a distanza di oltre 150 anni, a tal punto che dopo ripetute richieste di cittadini e associazioni il consiglio comunale di Napoli lunedì scorso ha approvato all’unanimità un ordine del giorno per impegnare il sindaco, Luigi De Magistris, a revocare la cittadinanza onoraria al generale e deputato reggiano, conferitagli il 21 febbraio 1861 dall’allora sindaco partenopeo, Giuseppe Colonna, in seguito all’assedio di Gaeta che decretava l’ultimo episodio di conquista delle Due Sicilie dopo l’invasione sabauda del 1860.
Una revoca che segue atti simili portati nei consigli comunali di diverse altre città italiane, da Nord a Sud.
Come Mestre, ad esempio, dove un paio di settimane fa è stata avanzata la richiesta di revocare a Enrico Cialdini l’intitolazione di una piazza. O come Palermo, dove al generale reggiano era intitolata una via. Un cambiamento toponomastico avvenuto anche a Lamezia Terme, dove via Cialdini è diventata via Angelina Romano, il nome di una bambina di nove anni, uccisa nella strage, fucilata insieme a due anziani e tre invalidi.
La stessa Reggio, nel 2011, si era già posta il problema “Cialdini”, quando in occasione del 150esimo dell’Unità d’Italia l’allora sindaco, Graziano Delrio, ha ricevuto in Comune il vicesindaco di Pontelandolfo, all’epoca Donato Addona, per consegnargli il primo Tricolore. Per ricevere il drappo, non senza qualche imbarazzo dell’amministrazione, il vicesindaco passò proprio davanti al busto del generale che rase al suolo il suo paese, che nell’ambito delle celebrazioni per l’Unità d’Italia era stato tra l’altro appena messo a lucido.
Durante la consegna della bandiera, Delrio chiese scusa alla comunità campana, riconoscendo che la storia non può essere cambiata, ma che la verità «sull’enorme ingiustizia compiuta» può e deve essere scritta. In quella circostanza, lo storico Mirco Carrattieri propose di mettere una lapide a fianco del busto di Cialdini, per ricordare l’eccidio e ristabilire la verità storica.
Sempre nel 2011, partì anche una petizione su change.org, per chiedere a Delrio di rimuovere il busto dal porticato
del Comune. Proposte cadute nel vuoto e finite nel dimenticatoio, al pari di qualunque decisione sui luoghi reggiani intitolati ad un eroe risorgimentale su cui la ricerca storica ha riscritto nuove pagine, fino ad equipararlo ad un criminale di guerra.
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