I Normanni

Pagine da X raccolta

 

I NORMANNI
Pasquale Comunale

Dalla contea di Aversa, quindi dal territorio Atellano, i Normanni iniziarono la loro ascesa in Italia. Ricordiamo le origini, le fortune, il valore.

Nel Medioevo col nome di Normanni (Dal tedesco Nord-manner, cioè uomini del Nord) si era solito indicare tutte quelle popolazioni di stirpe germanica abitanti la Danimarca, la Norvegia e la Svezia. Una conoscenza, sebbene molto vaga ed incerta, di queste popolazioni ce la offrono Pitea di Marsiglia del III sec. a.C., Tacito e Plinio il Vecchio alludendo agli «Iperborei», agli «Ingevones» e alle «Hillevionum gentes».
Molti storici, addirittura, li identificano coi famosi Cimbri e Teutoni che, nella loro prima invasione nel Sud-Europa, furono sbaragliati da Mario ad Aquae Sextiae e ai Campi Raudii (102-101 a.C.); ma se non eccessiva attendibilità hanno queste notizie, storicamente affermate sono invece le scorrerie di questi nordici che, a titolo di gloria, si davano il nome di Vichinghi (Vikings (= Wicing), guerriero; l’equivalente scandinavo vale «soldato di mare, pirata»).
Spinti da gran sete di lucro, di terre coltivabili e spirito di avventura, agli inizi dell’VIII sec., questi incominciarono a sciamare in tutti i mari del mondo a bordo dei loro caratteristici «drakkars» (draghi) capaci e resistenti a qualsiasi tempesta (Altri motivi che promuovevano questi esodi in massa erano pure il sistema della primogenitura che essi praticavano – e questo spingeva moltissimi giovani a cercare fortuna fuori della patria – e il fenomeno della sovrappopolazione. Secondo Johannes STEENSTRUP quest’ultimo fenomeno era una chiara conseguenza della poligamia ammessa e diffusa tra i Vichinghi, i quali ostentavano con piacere la loro prole numerosa; quale ulteriore prova della sovrappopolazione, lo stesso Steenstrup menziona la pratica di sopprimere i neonati indesiderati specialmente tra le classi più umili. Tale crudeltà, peraltro, è avvalorata dalla documentazione del mercante arabo IBRAHIM AL – TARTUSH, del califfato di Cordova, che visitò verso il 950 la città di Slesvig. «… Spesso la gente butta i neonati in mare piuttosto che mantenerli. Le donne, inoltre, hanno il diritto di chiedere il divorzio e …».).

Provenienti dai fiordi della Norvegia, dai «gord» (fattorie) della Svezia, dalle coste danesi e baltiche, i Normanni erano di statura alta con capigliatura bionda cadente sulle spalle. Vestivano rozzi indumenti di lana o di pelle e maglie di ferro e proteggevano il capo con un elmo a calotta, che per i principi e condottieri era ornato di due corna o di due ali. Anziché in città, preferivano vivere in campagna, in villaggi aperti formati di case isolate tra loro.
Ancora persisteva nel loro mondo la suprema autorità politica delle assemblee popolari, scomparse quasi del tutto presso tutti gli altri popoli barbarici
dell’Occidente. Le assemblee, che essi chiamavano «thing» (Le assemblee generali erano basate sul tipo dei moderni parlamenti,ed erano presenziate da liberi uomini di ogni contrada, i quali compilavano le leggi sotto la guida di un «langmann», cioè un esperto. A queste leggi obbediva naturalmente anche il re. Nel tardo periodo vichingo le decisioni più importanti erano prese dalle grandi assemblee regionali delle «landping». Queste si tenevano a Vibord nello Jutland, a Ringsted nello Sjaelland e a Lund nella Scania. Spesso avevano funzioni di corte d’appello.), erano quelle caratteristiche. I Normanni onoravano immensamente la propria donna e la consideravano compagna inseparabile di ogni lotta e di ogni impresa. I doni nuziali erano perciò un cavallo da guerra, una lancia e uno scudo che ella doveva obbligatoriamente consegnare ai propri figli e alle nuore.

A differenza dei Romani, che preferivano stabilizzarsi nelle loro conquiste, i Normanni non si prefissero, in genere mai specifiche mete politiche. Amavano le scorrerie, i rischi e le guerriglie, confortati dalla loro religione che prometteva ai guerrieri caduti in battaglia l’amore delle Walchirie e le gioie eterne del Walhalla. Un normanno era reputato molto poco se non avesse conosciuto altro paese diverso dal proprio. Anche da ciò il folle desiderio di intraprendenti viaggi verso l’ignoto, verso l’orizzonte misterioso.
Le difficoltà incontrate nelle loro avventurose evasioni – dovute spesso anche a rancori, a rappresaglie o addirittura a vere e proprie fughe per evitare la giustizia , gli amori e le passioni lasciati in patria e non dimenticati, propiziarono gli spunti per le leggende e per le saghe(Sono racconti epici in prosa o in versi fioriti nell’arco di tempo compreso tra il XII-XIII sec.; ve ne sono di due specie: a sfondo storico e a sfondo letterario. Le prime narrano le conquiste in Europa e le seconde le imprese leggendarie degli dei e degli eroi. Esse sono in gran parte riunite in due componimenti conosciuti col nome di EDDA.).
Famose sono le leggi che si incontrano nella letteratura nordica: leggi alle quali si ubbidiva ciecamente, senza costrizioni, per naturale disposizione dell’animo.
Le leggi dell’Uppland (Vasta regione della Svezia centrale) cominciavano così:
«La legge sia fatta rispettare dai ricchi e dai poveri e faccia differenza tra il giusto e l’ingiusto; sia fatta per dar pace a chi la cerca e incutere paura ai malvagi; essa sia onore per i giusti e timore per gli ingiusti».
Seguivano poi vari ordinamenti in uso.
La legge vietava di chiudere l’uscio di casa durante la notte o di portare gli attrezzi agricoli all’interno delle fattorie. Da questo derivò il proverbiale rispetto per l’altrui proprietà, apprezzato, peraltro, da tutti i popoli dell’antichità. Era logico che tale rispetto non era contemplato negli altri Stati dove appunto era ammessa la rapina a scopo di preda di guerra. La legge, inoltre, puniva i delitti con ammende o con la morte secondo i casi. Era passibile di morte chi uccideva il nemico durante il sonno, durante il desinare o quando questi era comunque impossibilitato a difendersi. Meritava la morte, ancora, colui che uccideva una donna o legava il suo nemico ad un albero perché fosse preda delle belve. Gli autori di tali crimini erano dichiarati «fredlos», cioè potevano essere in ogni modo uccisi da chiunque fosse a conoscenza del decreto del thing. Era fredlos anche colui che calunniava i suoi compagni. In pratica si voleva punire più la viltà che il delitto stesso. L’impiccagione era la pena specifica per i ladri, mentre la messa al bando colpiva coloro che si rifiutavano di accettare le decisioni del thing locale, il quale trasmetteva al landping i casi in questione. La vittima quindi era bandita dalla comunità, privata dei diritti civili, schivata da tutti, isolata. La morte o l’esilio volontario, erano i soli due modi per sottrarsi a questa pena. Solitamente le liti personali venivano risolte con un duello (holmgango), combattuto secondo complesse regole tradizionali, oppure con la prova del fuoco (jarnburdr). In questo modo la risoluzione dei casi decisamente difficili era affidata al giudizio degli dei.
Mentre le leggi romane si fondavano sul diritto obbiettivo, quelle vichinghe facevano capo ad una arcana forza mistica che operava nella preparazione e nell’obbedienza delle stesse e che si identificava nell’elevato senso del dovere caratteristico di questi nordici.
Le leggi dell’Uppland proseguivano dunque così:
«Questa è la legge, tu lo sai; se vuoi essere dei nostri rispettala e non ti rammaricare».
«Il vichingo dorma sullo scudo e con la spada in pugno; abbia per tenda il cielo azzurro».
«Vietato è erigere tende a bordo e dormire dentro case; dietro ogni uscio può esserci un nemico».
«Se la tempesta ti coglie non ammainare le vele; quando il vento è forte ci si può più facilmente divertire».
«Ubriacarsi è concesso una volta ogni tanto, ma soltanto a terra, perché se si cade sul sodo ci si può rialzare, ma se si cade in mare si precipita da Ran».
«Sui draghi non ci siano donne: anche la più fedele tra esse, a bordo, diventa un essere infido».
«Il dado sia il mezzo di distribuzione della preda; è d’obbligo comportarsi come esso cade. Il re del mare è disposto a prendere per sé soltanto l’onore».
«Nessuno dovrà curare le sue ferite prima che sia trascorso un giorno dal momento in cui si è rimasti feriti; al vichingo è permesso ritirarsi solo se ha di fronte più di undici nemici».
«Questa è la legge, tu lo sai; se vuoi essere dei nostri rispettala e non ti rammaricare».
Non meno famosi delle leggi sono gli aforismi, gli ammonimenti e i consigli – a volte cinici a volte concreti, ora ironici o sarcastici, ora quanto mai seri e cordiali – che si riscontrano nel poema «HAVAMAL», cioè «Le sentenze,del Sublime». Essi caratterizzavano il comportamento, il modo d’agire e di pensare nella vita di tutti i giorni dei Vichinghi di Norvegia e d’Islanda. In altre parole esprimevano la loro saggezza e la loro esperienza. Eccone alcuni esempi:
«Un ospite non deve approfittare della buona accoglienza; anche un amico diventa odioso se si ferma troppo a lungo presso chi l’accoglie».
«Si deve essere amici dei propri amici e degli amici degli amici; ma con l’amico del proprio nemico nessuno dovrebbe essere amico».
«Il vile crede di vivere in eterno evitando i nemici; ma alla vecchiaia nessuno sfugge anche se sopravvive alle armi».
«Sia per le strade che nei campi, un uomo non dovrebbe mai allontanarsi dalle proprie armi perché non sa mai quando ne potrà aver bisogno».
«Ero giovane, tempo fa; camminavo solo e smarrii la strada, ma trovai la ricchezza in un compagno. Nell’uomo è la gioia dell’uomo».
«Non bisogna mai essere troppo saggi. L’uomo la cui mente è libera da preoccupazioni non conosce in anticipo il proprio destino».
«Se desideri qualche favore da un uomo di cui non ti fidi, parlagli comunque lealmente; ma non dimenticare che è falso e se mente ripagalo col tradimento».
«Un uomo zoppo può andare a cavallo; un uomo senza mani può fare il pastore; un uomo sordo può uccidere. E’ meglio essere ciechi che essere bruciati sulla pira funebre: un uomo morto non serve a nessuno».
«Gli animali muoiono, gli uomini muoiono, io stesso morrò; ma c’è una cosa che non morirà mai: la fama che lasciamo dietro a noi quando moriamo».
«Non fidarti delle parole delle donne, siano esse nubili o sposate, perché i loro cuori sono incostanti per natura».
«Non confidare mai le tue preoccupazioni ad un uomo cattivo; egli non ricompenserà mai con il bene la tua sincerità».
«Nessuno è tanto buono, da essere libero da ogni male, né tanto cattivo da non valere proprio niente».
«Non litigare con gli idioti. L’uomo saggio spesso si asterrà dal venire alle mani, mentre l’idiota verrà alle mani senza causa o motivo».
«Non rompere l’alleanza con un amico; il tuo cuore soffrirà se perderai l’amico in cui puoi confidare».

Il capo era considerato un altro sé stesso! non aveva, in effetti, poteri. Era, invece, un semplice esecutore della legge: il loro orgoglio e il loro alto spirito d’indipendenza non avrebbero sopportato un tiranno.
Spiccatissima era nei Vichinghi la fede alla parola data e quindi alla legge. Ed era questo sentimento che li rendeva una massa unica e compatta. Essi non lasciavano mai i caduti in battaglia nelle mani nemiche e usavano seppellire i loro morti sotto colline artificiali in vetta alle quali piantavano cippi sepolcrali incisi di rune (Sono le lettere del famoso alfabeto scandinavo. Il più antico alfabeto runico fu creato dai popoli germanici intorno al 200 d.C. Esso comprendeva 24 segni ed è oggi detto FUTHARK. I popoli germanici, nonché gli scandinavi, attribuirono a questi segni poteri magici di cui si avvalsero per le loro imprese. I Norvegesi, secondo il loro mito, ritennero Odino non l’inventore delle rune, ma colui che le scoprì e che da esse fece scaturire gli arcani poteri. Da questo l’usanza di incidere brevi iscrizioni runiche su armi, monili e oggetti vari. Sulla ghiera di una spada, ad esempio, Si legge GID MARR IKKE MAA SKAANE, che significa «che Maar non risparmi nessuno». Maar, ovviamente è il nome della spada. In seguito, poco prima dell’era dei Vichinghi, le rune incominciarono ad essere utilizzate anche per iscrizioni commemorative come dimostrano le due pietre rinvenute a Mojebra, nell’Uppland, e a Tune, nell’Ostfold (Norvegia). Sempre nella stessa epoca i 24 segni dell’antico alfabeto furono sostituiti da un sistema più breve comprendente soltanto 16 segni: il cosiddetto «Futhark corto». Questa riforma, senz’altro di ordine pratico, ha inevitabilmente reso più difficile l’interpretazione delle iscrizioni posteriori. Ciò perché con un minor numero di segni si doveva capire l’uguale numero di valori fonetici già esistenti. In pratica ogni runa valeva per vari suoni tra loro collegati. Nelle iscrizioni più recenti si notano tre tipi di scrittura: la scrittura runica danese, diffusa in tutta la Danimarca, non esclusa la Scania, nella Svezia occidentale (poi in tutta la Svezia) e nella Norvegia; la scrittura svedese-norvegese nella Svezia orientale, nella Norvegia meridionale e occidentale e specialmente nell’isola di Man; infine le cosiddette «rune di Halsinge», cioè una specie di calligrafia corsiva (o scrittura in codice) ottenuta togliendo un tratto ad ogni carattere runico e molto in voga nella Svezia settentrionale.).

I vichinghi più famosi venivano molto spesso inumati sui loro cavalli riccamente bardati, assieme ai propri cani e alle cose più care che avevano avuto in vita. Altri, addirittura, venivano seppelliti coi loro draghi a bordo dei quali, a prua precisamente, erano posti enormi pezzi di bue e interi maiali arrostiti, barili di «mjod»(Idromele), pentole di «grot» (Farinate d’orzo o di altri cereali) e vari altri cibi necessari per il lungo viaggio verso il Walhalla.
I Vichinghi inguaribilmente malati, e pertanto inutili alla comunità, si lanciavano dall’alto di una rupe uccidendosi; i vecchi, invece, constatato anch’essi l’inutilità della propria vita e per affrettare l’ascesa al loro paradiso, si incidevano con la spada le rune sul petto e sulle braccia lasciandosi morire dissanguati. Questo sacrificio volontario era noto come «l’aquila di sangue».
I Vichinghi adoravano le forze della natura e credevano nell’immortalità dell’anima. Il loro centro politico e religioso era Upsala, celebre per il suo tempio maestoso «totum ex auro paratum», secondo le testimonianze dell’antico cronista Adamo di Brema (Prete e storico tedesco nonché canonico della cattedrale di Brema nel 1068. Con la sua «Storia dei Vescovi della Chiesa di Amburgo» ha lasciato all’umanità un’inesauribile fonte storica e geografica dei paesi tedeschi e dell’estremo Nord specialmente dal sec. VIII al XII).

Oggi parlare dei Normanni s’intende abitualmente riferirsi a quelli che si stabilirono nella Francia settentrionale da dove – acquisiti nuovi costumi, un nuovo linguaggio, una nuova fede, una coscienza di popolo non più barbaro, un nuovo sistema sociale, che fecero propri con facilità estrema e congenita – mossero alla conquista della Gran Bretagna, dell’Italia Meridionale e della Sicilia.
Nelle terre conquistate, purtroppo, questi non portarono mai un contributo propriamente originale, ma si limitarono soltanto a sviluppare, ad ampliare e a migliorare quanto avevano appreso dagli altri popoli. Di fatto fecero proprie le nascenti dottrine feudali francesi e le formarono in un sistema armonico, che Guglielmo «il Conquistatore» trapiantò poi in Inghilterra dopo la battaglia di Hastings (14.X.1966)
Dall’Italia settentrionale appresero uno stile architettonico che, opportunamente variato, assunse una forma d’arte più marcata e vivente. Questo spiega perché oggi i Normanni costituiscono non altro che una memoria storica. D’altro canto, però, non si può disconoscere l’indole forte e scatenata, la forza, l’eroismo guerriero e l’incessante spirito d’iniziativa di questi audaci avventurieri (in questo non sicuramente diversi dai loro antenati vichinghi). Tenaci e decisi, i nuovi Normanni si trovarono sempre dovunque ci fosse stato bisogno di un pugno di uomini forti. Generalmente sdegnosi dell’eredità paterna, tentavano di conquistarne essi stessi una più grande. Ciò motiva la calata nel nostro Sud degli Altavilla nel 1035 e dei Drengot, vent’anni prima, che trovarono allora il valido pretesto nell’accorato appello di Melo di Bari nella sua perpetua lotta antibizantina. Non si può disconoscere, altresì, la loro astuzia, la loro abilità nella lusinga, la loro versatilità nell’eloquenza e la loro grande diplomazia.