Il Murgantino – ” I racconti di Daniela Agostinone”

Nella rubrica ” I racconti di Daniela Agostinone” de “Il Murgantino” di questo mese, è uscito il pezzo dedicato a mio padre. (Daria Dadà Lepore)
Ringrazio ancora Daniela, Antonio e Ruggero

leporeangelo

 

Angelo Lepore, maestro per la vita
E così prendo carta e penna e scrivo a me stesso. Vorrei poter incominciare in questo modo: “Caro Domenico”, ma in questo particolare momento della mia vita, l’ombra sulla mia coscienza me lo impedisce e il me stesso che sono quasi non lo riconosco. Alzo lo sguardo, la penna a mezz’aria: in silenzio, nella penombra della mia stanza da letto, in questa tiepida serata d’autunno, alla luce della lampada e della luna che s’insinua tra le tende raccolte; quasi sessantenne e ancora solo, senza una moglie né una compagna. Non credo d’esser poi tanto male; no, non è per questo: è per via della corazza. Sai, Domenico, quella che indossiamo quando incominciamo a diventare adulti e a occupare incarichi di rilievo. Ci difende dai sentimenti, dalle aggressioni emotive, dagli eccessi d’entusiasmo e pian piano diveniamo tutt’uno con essa e non sappiamo più come toglierla. Ma oggi si è aperto uno spiraglio: mio nipote Fabrizio è venuto da me con i suoi compitini di terza elementare, delle domande cui rispondere insieme: “Zio, mi racconti com’era la scuola ai tuoi tempi?” E a quel punto strap!

La corazza si è scheggiata, s è aperta un po’ e ne è sbucato fuori un nome: quello del mio maestro delle elementari a Canepino, Angelo Lepore e per un momento mi sono sentito tornare bambino. Chiudo gli occhi, sprofondo nella pelle della poltrona, mi lascio invadere da quell’antico sentimento, odoroso di inchiostro e gomme per cancellare, che legava il maestro Lepore a ogni suo alunno e ciascuno di noi alunni al suo maestro. Ciò che di buono mi ritrovo oggi: la laurea, una posizione privilegiata, questa casa finemente arredata, lo devo a lui. La vita – la mia e quella di altri ragazzini come me, nati in una realtà rurale svantaggiata com’era quella di Canepino negli anni Sessanta – mi è stata data due volte: da mia madre al momento della nascita, e dal mio maestro poiché egli è riuscito a intuire quanto, per ciascuno di noi alunni, la possibilità di un futuro, di una libertà di pensiero, di un’indipendenza economica, dipendessero dalla nostra istruzione. Egli, nato ad Amorosi, agli inizi della sua attività aveva chiesto, pieno d’entusiasmo, di farsi assegnare alla contrada Chiaia di Baselice, una delle contrade più arretrate dell’entroterra campano, quindi era passato a Canepino, mosso dalla convinzione che i ragazzini delle campagne avessero bisogno più degli altri di essere supportati e istruiti. Per loro egli creò il doposcuola, con tanto di refezione calda, riuscendo a far comprendere ai genitori l’importanza dell’istruzione e coinvolgendoli in corsi, conferenze e recite. Il suo impegno lo portò a divenire Presidente del Patronato scolastico di Morcone e a gestire sei scuole materne, compreso il trasporto alunni (pensa, Domenico, che si deve a lui l’acquisto del primo scuolabus!). In seguito ottenne dall’Ispettorato di poter istituire il Centro Sociale di Educazione Permanente di Morcone – Canepino, avente la funzione di allontanare i giovani da bar e sale da gioco offrendo loro anche attività ricreative e organizzando colloqui tra esponenti qualificati del mondo dell’agricoltura e gli agricoltori delle contrade. Questo per invogliare i residenti a non abbandonare i loro campi ma a coltivarli applicando metodi innovativi e di tipo aziendale. I funzionari dell’Ispettorato non credevano che in un piccolo centro come Canepino potesse esservi tanta partecipazione – sorrido tra me a pensarci – e così vennero a controllare, e poterono constatare che il merito di tutto ciò era proprio della figura catalizzatrice del maestro Lepore il quale svolgeva la sua funzione di educatore con altruismo e dedizione e addirittura intaccando a volte il proprio stipendio per rimediare a difficili situazioni. Ora eccomi qua; mi sbarazzo della mia corazza e scrivo a me stesso e mi sento nudo e vulnerabile ai ricordi. Ancor più nudo di fronte alla figura del mio maestro, della sua vita attiva, anche come giornalista, (era iscritto all’Ordine dei giornalisti pubblicisti, sai?) quando collaborava a “Il Mattino” e a “Messaggio d’oggi”. Al suo amore smisurato per Morcone, pur non essendo egli morconese, che lo
motivò ad essere cofondatore, quale membro dell’associazione “Morcone Nostra”, del mensile “La Cittadella”, del quale fu direttore per ben ventidue anni. Se dovesse redigere un articolo su di me, su di te, Domenico, per la sua Cittadella, che cosa scriverebbe? Che sto coprendo dei truffatori? Che mi lascio tentare dal loro gioco per aumentare il mio conto corrente? È questo che mi ha insegnato sui banchi di scuola? Educare, dal latino e-ducere, tirare fuori, così riporta il dizionario; e lui, educatore qual era per vocazione, s’è adoperato per tirar fuori da ciascuno di noi alunni il meglio, anche oltre la scuola. Anche nello sport per esempio. Da mente illuminata qual era, il maestro aveva compreso il valore dell’attività sportiva per la mente e per il fisico. Era egli stesso uno sportivo e fu nominato per le sue competenze Dirigente della locale Associazione Sportiva. Mi riesce difficile immaginare il maestro Lepore in contraddizione: era un uomo talmente integro, talmente incorruttibile, che mai avrebbe potuto ritrovarsi nella mia situazione, vittima della tentazione di facili guadagni! (Mi pare di averlo davanti a me ora, mentre si toglie il cappello e saluta, apparentemente burbero ma in realtà sempre disponibile). Credo che dentro di sé avesse un solo cruccio: era reduce della guerra in Africa, dove aveva visto un amico saltare in aria per via di una bomba; non aveva potuto fare niente per lui e questo non riusciva a dimenticarlo. Credo che avesse in mente proprio lui quando, nel maggio del 1956, salvò la vita ad un carabiniere in servizio. Il fatto avvenne a Baselice, mentre faceva lezione: si udirono degli spari e, senza pensarci due volte, il maestro Lepore affidò la classe al bidello e uscì trafelato a controllare. Si trovò di fronte a una scena agghiacciante: un contadino insolvente imbracciava un fucile con il quale aveva sparato ai due carabinieri venuti in scorta ad un ufficiale giudiziario, uccidendone uno e ferendo l’altro. Lepore, incurante del rischio, riuscì a persuadere il contadino a deporre l’arma, poi si caricò sulle spalle il carabiniere ferito e, servendosi di una barella di fortuna, lo portò in paese, impiegando un’ora di cammino. In questo momento della mia vita, in cui mi sento così fragile e così combattuto sulla strada da scegliere, la volontà così debole, non chiedo consiglio a Dio ma mi domando: il maestro Lepore al mio posto cosa farebbe? La risposta ce l’hai già, Domenico, ce l’hai nel cuore, lì dove l’ha depositata il tuo maestro tanto tempo fa, con i suoi insegnamenti e il suo esempio di vita. Non ti resta che seguirla e finalmente potrai rivolgerti a te stesso in coscienza, così: “Caro Domenico”.