TUTTA COLPA DEL SUD.
“SIAMO UOMINI O NEOBORBONICI?”
di Pino Aprile
«Sei neoborbonico?». «No». «Ah, meno male! Piacere, Gennaro Esposito»: se no, manco la mano mi dava?
Scenetta immaginata, che sintetizza nascita e sviluppo di un fenomeno noto: la creazione del nemico; una figura, una categoria, cui attribuire idee negative e progetti pericolosi, per aver conferma indiretta della bontà dei propri e segnare la differenza fra il bene, noi, e il male, loro.
Così, “neoborbonico” diventa un’etichetta da appiccicare all’altro, per squalificarlo, prima ancora di (e senza) considerarne gli argomenti. Una scorciatoia, come altre “semplificazioni” (“fascista”, “comunista”, “terrone”…).
Come sono i neoborbonici? Monarchici, contro l’Unità d’Italia, vogliono rimettere i Borbone sul trono delle Due Sicilie; descrivono il regno napoletano liberato da Garibaldi come un paradiso terrestre; citano sempre i “primati” meridionali; dicono che nella fortezza-carcere di massima punizione di Fenestrelle, si moriva, come sempre, da prima che ci portassero i terroni; “rompono i coglioni” (citazione), con il numero delle vittime di Pontelandolfo e Casalduni; dicono che l’Unità d’Italia l’hanno fatta i massoni grazie alla Gran Bretagna; protestano esageratamente contro ogni accenno negativo nei riguardi del Sud, dei meridionali, della loro storia; boicottano trasmissioni tv, radio e giornali che se ne rendono colpevoli e le aziende che vi fanno pubblicità; vogliono entrare allo stadio con bandiere “borboniche”; gridano viv’o rre! quando ospitano l’attuale esponente della dinastia napoletana e la moglie si lascia coinvolgere, balla la Carmagnola in strada, con lazzari e no…
Sono così i neoborbonici? Sì e anche altro. Ma non tutto e tutti insieme. Mi spiego: quanti neoborbonici conoscete? Davvero, dico, non per sentito dire. Io un po’; e confermo che qualcuno è davvero monarchico e rivuole il Regno delle Due Sicilie, ma i più sono repubblicani- Più o meno: questo Paese è stato fatto con i nostri soldi (rubati: già dalla “liberazione”, mica solo Renzi e Delrio!) e ce lo teniamo, ma reso più giusto, equo.
Altri aggiungono: se il Sud deve restare colonia, allora, meglio soli (anch’io la penso così e non sono neoborbonico). I neoborbonici non sono stati i primi, né gli unici, a divulgare le mattanze e gli stupri dei bersaglieri a Pontelandolfo e Casalduni (né Antonio Ciano, che ha subìto pure dei processi, né Gigi di Fiore sono neoborbonici).
Né sono soltanto loro a parlarci dei primati del Regno delle Due Sicilie: delle grandi acciaierie di Mongiana e altre eccellenze industriali calabresi sappiamo dagli studi dell’architetto Gennaro Matacena, che sarebbe davvero azzardato accostare ai neoborbonici (il sospetto è che dia fastidio il fatto che quei primati siano veri e tanti, il che contrasta con la versione addomesticata dell’epopea risorgimentale: perché, se sono veri quelli, non è vero che i terroni erano trogloditi morti di fame?).
A Firenze si sventola il giglio dei Medici, a Venezia il gonfalone di san Marco, in Sicilia la triscele della Trinacria, ma se esponi quella delle Due Sicilie, arriva la polizia a sequestrarla, perché “neoborbonica”.
La massoneria, con libri e convegni, rivendica il suo ruolo nell’unificazione del Paese e il gran maestro Armando Corona proclamò ufficialmente che ne furono gli artefici; quanto alla Gran Bretagna, dovrebbero bastare le affermazioni dello stesso Garibaldi, di Cavour e di lord Lennox al parlamento di Londra. E nessuno di loro era neoborbonico.
E i “soldati napoletani” che sfilano oggi nelle divise e con le armi dell’epoca? Un fenomeno diffusissimo (dagli Schutzen sudtirolesi ai centurioni romani redivivi) non solo in Italia. A meno di non volerli tutti considerare neoborbonici.
Ai neoborbonici si deve il recupero di tanti documenti che restituiscono vera storia delle vicende risorgimentali. Ma gli si rimprovera di vivere con la testa rivolta al passato. Lo si fa in tutto il mondo, ci sono cattedre, per questo, finanziamenti; associazioni amatoriali… e tutti indagano sul tempo che fu dalle caverne in qua. L’unico posto di ieri in cui è sconveniente guardare sarebbe il periodo risorgimentale?
Che faccio, continuo? Rinnovo la domanda: quanti neoborbonici conoscete, davvero, non per sentito dire? E sapete, immagino, che sono divisi fra neoborbonici propriamente detti (ovvero iscritti all’associazione, al movimento) e neoborbonici per partenogenesi e opposizione, ovvero altre associazioni sorte contro o per secessione da quella originaria, nata più di venti anni fa per iniziativa di Riccardo Pazzaglia, che scelse il nome. Sapete pure che il compito statutario dei neoborbonici è recuperare storia e cultura e astenersi dalla lotta politica, non candidandosi e non votando (nessuno si è mai candidato, ma alcuni poi votano, il che confermerebbe le accuse di Alessandro Barbero sui loro “fini politici immondi”. E quando lo freghi il prof!).
Insomma, una cosa sono i neoborbonici, e una cosa l’idea del “neoborbonico”, ormai una categoria, un luogo comune che contiene di tutto; e meno ne sai, più la parola è piena. Marco Esposito rivela in che modo i soldi per le opere pubbliche vengono sottratti al Sud e spesi al Nord? È neoborbonico. Dimostri che le nuove norme sulla (s)“meritocrazia” universitaria condannano alla chiusura gli atenei dei Sud? Sei neoborbonico.
Al punto che sta producendosi un nuovo riflesso condizionato: se devi dire qualcosa sulla discriminazione “Nord-Sud” o sulla storia manipolata a danno dei terroni, per farti prendere in considerazione, devi aggiungere: “non per rincorrere sterili revanscismi o nostalgie neonorboniche” o qualcosa di simile. E se ci spruzzi due-tre gocce di sano disgusto, ti rendi più credibile e, soprattutto, accetto a “quegli altri” che, sui dogmi “Il Sud era povero, arretrato e oppresso” e “tutta colpa del Sud”, ci campano da un secolo e mezzo.
Per il secondo principio della dinamica, sorge fra i neoborbonici un riflesso uguale e contrario: chi, pur condividendo molte cose o solo alcune (ricerca storica, temi identitari, convegni), se dice di non essere neoborbonico o addirittura liberamente prende da loro le distanze su certe iniziative, viene ritenuto un ingrato, un opportunista.
Tutto questo ottiene un risultato: si dimenticano gli argomenti e ci si rifugia nelle classificazioni. Si chiama pregiudizio ed ha due tagli, non uno, nel senso che fa male a chi lo patisce e a chi lo usa.