TRATTO DAL LIBRO “IL BRIGANTAGGIO MERIDIONALE ” cronaca inedita dell’unità d’Italia a cura di Aldo De Jaco-roma-1979
pag 344-347
Ragioni storiche e presenti
Da « Il brigantaggio nelle provincie meridionali d’Italia » discorso di Carlo Capomazza pubblicato a Napoli il 1864 nello stabilimento tipografico di F. Vitale, 2 e 4 Largo Regina Coeli (Carlo Capomazza, napoletano, fu giudice del tribunale civile di Salerno e studioso di lettere latine. Liberale moderato, partecipò ai moti del ’48 e perciò perse l’impiego nel quale fu reintegrato nel ’55.)
…La nostra plebe (come già fu detto da molti) a differenza delle altre plebi d’Europa non è mutata per nulla da quel che era ai principi di questo popolo. Un contadino napoletano del 1863 e un contadino napoletano del 1799 si assomigliano a cappello. Nè solo i contadini. Ché quella quasi gran muraglia cinese, con cui la improvvida astuzia di Ferdinando II ebbe isolato il regno, impedí ogni miglioramento, o mutamento che voglia dirsi, nell’intera massa del popolo.
Sicché dalle industrie e traffici cresciuti, dai facili viaggi e dalla istruzione, fu resa in altri luoghi la plebe piú pronta bensí ai rivolgimenti politici, ma meno corriva ed anche meno atta a mettersi del tutto fuori il consorzio umano. Mentre qui la vediamo senza concetti ad amori politici essere contenuta facilmente dalla forza presente, ed allontanata questa, correre quasi per istinto alla rapina ed al sangue. Gíttansi a torme sulle strade a far preda; mentre altrove minacciano, in modo forse, più pericoloso, ma meno selvaggio, i proprietari ed i ricchi.
Non ci furono briganti in Francia nel 1848, è vero: ma gente senza nome volle imporre con la forza nuove norme di vivere sociale; ed abolire la proprietà e la famiglia.
Gente di quella stessa specie, in quelle stesse condizioni qui in Napoli, si gitta alle strade per rubare, o si prepara a saccheggiar le città in nome del Re e della Santa Fede. Né io vorrò decidere quale dei due mali sia maggiore: o veder combattute in massima le proprietà e le famiglie, e doverle difendere col cannone in mezzo ad una popolosa città: od essere ciascuno in particolare esposto a devastare i beni, e violar la famiglia; e doverseli difendere in piccoli scontri su pei monti e nelle campagne. Ma sia che vuolsi di ciò, il fatto è che nel loro primo apparire i briganti non avevano né bandiera né grido politico. Dello scompiglio universale vollero i più audaci far materia a lucro o a vendetta: del cui esempio ed impunità altri allettati, andò crescendo di giorno in giorno quella pestilenza. Insomma non era sommossa ma verace anarchia. Fu, se è lecito dirlo, la favola delle rane di Esopo.
E non so come da tutti fosse o non vista o dissimulata la speciale condizione in cui trovaronsi per piú mesi queste nostre provincie. Da giugno 1860 fino ad aprile seguente esse rimasero senza forza pubblica; e quasi senza governo. Infatti nei mesi di luglio e di agosto, quando ancora regnava Francesco II, non ci era, fra le incertezze e le paure ed i continui scambi, chi sapesse o volesse governare; e, se qualcuno pur ci era, non aveva come venirne a capo. Tutta l’antica forza interna, gendarmi, birri e guardie nazionali o si celavano, o con la presente debolezza si studiavano di fare ammenda delle prepotenze antiche. L’esercito poi, raccolto fra Calabria e Napoli, e volto solo alla guerra, non era di aiuto nelle faccende interne. Né le cose mutarono con la Dittatura. Che anzi, scosso e sconquassato tutto l’ordinamento del governo, e tenuti a campo sul Volturno i volontari, né per anco, se non nelle grandi città, armate le guardie nazionali, rimase tutto negli altri luoghi alla ventura, e proprio in braccio alla provvidenza.
E seguitò cosí dopo la venuta del Re per le cure dell’assedio di Gaeta, e più poi continui mutamenti di uomini e di leggi. Poiché, come la vita di un uomo si può distruggere in un momento, ma fanno d’uopo molti anni per giungere alla perfezione, cosi fu facile di andar rompendo giorno per giorno or l’uno o l’altro ordigno di governo, ma ci bisognò tempo ricostruirli e riordinarli. E l’esercito era sproporzionatamente minore del bisogno.
Né credo di errare, affermando che i soldati i quali in tanta mutazione dovettero bastare all’Italia intera non agguagliavano il numero di quelli, cui in tempi, al paragone, tranquilli, Ferdinando II teneva a guardia del solo regno di Napoli. Insomma, un popolo che per tanti anni era stato tenuto a freno da una polizia vigilantissima e da una forza prepotente, si trovò d’un tratto a non dover altro temere, che lo sguardo molto corto di qualche sindaco, e la presenza di poche guardie nazionali.
Né bisogna illudersi con questo nome pomposo. Nelle borgate e nei villaggi la Guardia Nazionale non è che l’accozzamenta di pochi villani, con abiti rattoppati e grotteschi, ai quali non cresce punto di onorevolezza quel sudicio berretto alla soldata: sono conosciuti uno per uno dai loro conterranei, e per lo piú derisi e dispregiati, come gente da nulla.
Accadde dunque quel che doveva accadere, e che fu previsto da quanti non si dànno a credere che un paese muti ad un tratto di costumi col mutare di leggi; e col sostituire l’una all’altra bandiera. Io in verità non so che alcun popolo sia giunto mai a tanta perfezione, che non ebbe bisogno di essere contenuto dalla forza pubblica. Ben so, che nello stato presente di Europa è necessario, al mantenimento degli Stati, una forza pubblica superiore a tutte le forze speciali, e che dalla distruzione di essa si genera l’anarchia. Si deve rivolgere bensí la forza al mantenimento della libertà, invece di valersene come strumento di tirannia; e si può dalla compra obbedienza di stranieri passare a comporla di cittadini piú o meno liberamente consenzienti. Ma non è possibile sicurezza di vivere civile dove il Governo non sia temuto da tutti, e non sia di fatti il piú forte.
Coteste ragioni di anarchia vennero poi smisuratamente accresciute non dirò da uno sbaglio, ma da un fatto di governo: dall’aver cioè sciolto l’esercito borbonico, e sparsi per le campagne oltre a sessantamila uomini assuefatti alle armi, e disperati. Forse fu necessità il farlo: forse dal tenerli riuniti ed in armi sarebbe venuto un danno maggiore. Ma tant’è: un male, divenendo necessario, non cessa per questo di esser male, e di produrre i danni che per natura produce. E fra tanti uomini gittati a quel modo nelle campagne non poteva non passare per il capo a parecchi di riunirsi agli sbanditi, che già le scorrevano, per trovare di che vivere, e vendicarsi. Altro che zelo di cattolici, e fedeltà di sudditi! Fu fame e disperazione. Ma intanto cotesti soldati non solo aumentarono di numero e disciplinarono quei ladroni, ma diedero ad essi la prima volta quella veste di partigiani( In corsivo nel testo.), sotto cui dal primo loro apparire molti si erano impegnati mostrarli all’Europa…