ORO DEL BRIGANTE
PONTELANDOLFO
L’apicoltura, o apiaria, arte che pratica l’insegnamento e l’allevamento delle api, è antica quanto è antico il mondo.
Nel passato si praticava con mezzi rudimentali, spesso occasionali, ma non per questo meno efficaci di quelli razionali e moderni.
Tanto, perché il previdente colono – apicoltore sopperiva al bisogno, affidandosi alla sua estrosa ingegnosità.
Per custodire le arnie al riparo dal freddo invernale, ad esempio, le prelevava dall’apiario nella stagione autunnale per metterle al riparo in una casupola a forma di tholos, cioè a forma di cupola di pietre connesse a secco, detta volgarmente “cupn’èra”: da “cupón”‘, che significa tutte le api di un’arnia.
E chi faceva l’apicoltore, si diceva che ‘Tnéva ri cupùni”, teneva, cioè, le api in un insieme di arnie.
L’estrema ingegnosità del previdente colono-apicoltore toccava, poi, il massimo dell’espressione, quando si trattava di recuperare uno sciame di api operaie, che al seguito di una regina, abbandonavano l’alveare per andare a fondare un’altra colonia.
Allora coinvolgeva tutti i membri della sua famiglia, adulti e bambini, che, con fracasso di campani e stagnole, riuscivano a fermare lo sciame, facendolo posare sull’estremità di un ramoscello di albero, ove formava un favo pendulo. Con il crepuscolo della sera, provvedeva, poi, a rimuoverlo con attenzione, e a riporlo con cura in un’arnia, evitando, tosi, che andasse perduto.
In gergo popolare, allora si diceva che il bravo colono-apicoltore “sap’ affioe’ r cupón’ “, cioè sa fermare lo sciame fuggente.
Da questo fatto venne mutuata anche l’espressione: “s’affitt’ r cupón'”, cioè si è fermato lo sciame di api, come quel primo sciame, quel primo “cupón” che, magicamente, si fermò materializzandosi ai miei occhi.
…dedicato ai briganti di ieri, di oggi e di domani !!!
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